Capitolo 4.

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Mi svegliai con la sensazione di cadere nel vuoto.

Mi morsi la lingua per non gridare.

Mi girava la testa, ma strizzai gli occhi per abituarmi al buio.

Delle sbarre verticali ricoperte da tralci secchi, bloccavano l'uscita da quella che sembrava una stanza cirolare, a mo' di prigione.

Ero seduta, ma la mia schiena era poggiata a un palo conficcato nel terreno, che saliva fino al soffitto.

Le mie mani erano legate dietro al palo con una cosa che ,al tatto,assomigliava vagamente a una corda.

Cercai di dimenarmi, ma erano indistruttibili.

Strinsi gli occhi per vedere meglio fuori dalla prigione.

Una stradina di terra battuta si estendeva per circa trenta metri e poi svoltava a sinistra e a destra.

Le pareti erano nere come l'ossidania.

Ogni cinque metri circa, delle torce dalle fiamme verdi, risplendevano nell'oscurità.

"Inferi" pensai.

Era la prima cosa che mi venne in mente. Non ero mai stata nel regno di Ade, ma quel posto era sicuramente sotto terra.

Stetti in silenzio, cercando di controllare il mio respiro affannato.

In lontananza si udì il rumore di passi, forse di due persone.

Lasciai la testa a penzoloni, come se fossi svenuta e accasciai le spalle.

I passi si fecero più vicini.

Una voce mugghiò:

- ...scommetto che la fará fuori subito, non ci serve-  l'essere aveva una voce cavernosa e profonda.

L'altro mostro (non erano di sicuro umani) aveva una voce più acuta, che mi ricordava i delfini.

- Nah, cercherà di arruolarla con noi, basta un po' di magia, non potrà mai scappare senza...-

Il mostro dalla voce cavernosa si fermò e fece:

-Shh! Silenzio! Vuoi spifferarlo a tutti?!-

- N...no, non volevo - balbettò la voce acuta.

- Bene - la prima voce fece un ghigno.

- Ora andiamo, bisogna rifornire gli armamenti-

Si incamminarono, i passi eccheghiavano ,ciò significava che dopo c'era una stanza molto grande.

Aspettai qualche secondo, poi alzai la testa silenziosamente. Di schiena, c'era una forma umanoide, alta due metri e mezzo circa. Indossava dei pantaloncini sportivi, e una maglietta sudicia. Le braccia erano tempestate da tatuaggi. L'altro mostro era più complicato. Sotto la fievole luce delle torce, l'unica cosa che vidi, era un incrocio tra un uomo e un delfino.

"Un lestrigone e un telchino" pensai du scatto.

Sembrava che qualcuno me lo avesse suggerito.

Sobbalzai dallo spavento.

Mi voltai.

- C'è qualcuno? - sussurai.

Niente.

Perfetto, avevo anche le allucinazioni. Scacciai il pensiero, forse ero solo stanca.

Ma ero ancora in trappola, e non potevo concedermi il lusso di addormentarmi. Cercai di fare scivolare i miei piccoli polsi attraverso la corda. Quella, come se vivesse di vita propria, strinse la sua presa. Soffocai un grido.

Era finita, sarei morta nel giro du qualche giorno, per mancanza di cibo e acqua.

Ricacciai indietro le lacrime, perché una cosa alquanto strana stava succedendo.

Con la stessa velocità in cui la corda mi aveva strinto, si ruppe.

Scivolai su un fianco, esaminandomi la mano, per fortuna non c'erano tracce di sangue.

Sentii un brivido lungo la colonna vertebrale.

Ma era caldo, non freddo e malvagio.

Una minuscola scintilla argentea volava per la stanza, con la leggerezza di una fata. Si allungò sui tralci che ricoprivano le sbarre.

La scintilla si fece più chiara, e le sbarre si sgretolarono come sabbia.

La luce proseguì lungo la strada e non si voltò.

Voleva che la seguissi.

Ora, penserete "che irrensposabile! Segui la prima luce che ti capita?"

Ma quella non era una trappola.

Percepivo una sorta di attrazione.

Camminai lentamente verso l'uscita.

Nessuna ascia sbucò per tagliarmi in due.

La scintilla argentea proseguì e dovetti correre per starle dietro.

Si fermò all'incrocio, dove la strada si divideva a destra e sinistra.

Il soffitto tremava. Un odore nauseabondo veniva da destra, mentre da sinistra non si sentiva nulla.

La luce si spostò a destra e scomparve, come per dire "ecco ora veditela da sola."

Destra o sinistra?

La luce aveva detto la prima.

Mi voltai verso destra.

Era un corridoio buio, senza torce.

Mi avvicinai al muro e ci poggiai una mano sopra.

Contai a bassa voce mentre camminavo.

Avevo perso il conto verso i trentacinque, quando sbattei contro una porta.

Ci feci scivolare la mano, era molto grossa, forse larga due metri, e di legno.

Afferai la maniglia. Era incredibilmente fredda.

Trassi un respiro profondo e aprii.

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