Eneide IX vv. 314-366

3 1 0
                                    

05-03-21

Usciti, superano i fossi, e nell'ombra della notte

si dirigono al campo nemico, ma prima sarebbero stati

di eccidio a molti. Sull'erba vedono corpi rovesciati

dal sonno e dal vino, carri con il timone alzato sulla riva,

uomini tra briglie e ruote, e giacere insieme

armi e otri. Per primo l'Irtacide parlò così:

"Eurialo, osiamo col braccio; la situazione c'invita.

La via è per di qua. Affinché nessuna schiera

possa coglierci da tergo, provvedi e vigila da lontano;

io seminerò strage, e ti guiderò in un vasto solco".

Così dice, e frena la voce; ed assale con la spada

il superbo Ramnete, che su spessi tappeti

ammucchiati spirava sonno dal profondo del petto:

era re e augure, gratissimo al re Turno,

ma con l'augurio non poté allontanare da sé la rovina.

Vicino uccide tre servi che giacevano a caso 

tra le armi, e lo scudiero di Remo; all'auriga trovato

sotto i cavalli col ferro squarcia il collo riverso;

poi decapita il loro padrone, e lascia il tronco

rantolante nel sangue; la terra e i giacigli s'intridono 

caldi di nero umore. E anche Lamiro e Lamo,

e il giovane Serrano, che aveva giocato fino alla notte

più tarda, bellissimo d'aspetto, giaceva con le membra vinte 

dall'eccesso del dio; fortunato, se senza intervallo

avesse pareggiato il gioco alla notte protraendolo fino alla luce.

Come un leone digiuno che sconvolge un gremito ovile

(lo spinge una fame furiosa) e addenta e trascina le tenere

pecore mute di terrore; ruggisce con le fauci insanguinate.

Non minore la strage di Eurialo; ardente anch'egli

imperversa, e nel folto assale una grande anonima

folla, Fado, e Erbeso, e Reto e Abari

inconsapevoli; Reto si era svegliato e tutto vedeva,

celandosi atterrito dietro un grande cratere:

mentre si alzava Eurialo gli immerse da presso la spada

in pieno petto, e la estrasse con molta morte.

Quegli emette l'anima purpurea, e morendo rigetta

vino misto a sangue; questi, fervido incalza nell'agguato.

S'appressava ai compagni di Messapo; lì vedeva

morire l'ultimo fuoco e legati secondo l'usanza

i cavalli brucare l'erba: quando brevemente Niso

- lo sentì trasportato da troppa foga di strage - 

"Smettiamo" disse, "poiché s'avvicina la luce nemica;

ci siamo vendicati abbastanza; s'apre la via tra i nemici".

Lasciano numerose armi di guerrieri, forgiate

in argento massiccio, e crateri e bei tappeti.

Eurialo afferra, adattandole alle spalle inutilmente forti,

le borchie di Ramnete e la tracolla a placche d'oro,

che un tempo il ricchissimo Cedico mandò in dono

a Remulo tiburte, stringendo amicizia da lontano;

quegli morendo la dà in possesso al nipote; dopo la morte

i Rutuli se ne impadroniscono guerreggiando in battaglia.

Poi indossa l'elmo di Messapo, agevole e adorno 

di creste. Escono dal campo, e prendono vie sicure.


Publio Virgilio Marone - Eneide, 1978

Una poesia al giornoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora