Eneide IX vv. 367-504

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10-03-21

Frattanto cavalieri mandati in avanscoperta dalla città latina,

mentre il grosso dell'esercito indugia schierato nella pianura,

andavano e portavano a Turno risposte del re:

trecento, tutti armati di scudi, guidati da Volcente.

E già s'avvicinavano al campo, e arrivavano al muro,

quando li scorgono lontano piegare in un sentiero a sinistra;

l'elmo tradì l'immemore Eurialo nell'ombra

luminescente della notte, e rifulse percosso dai raggi.

Non passò inosservato. Grida dalla schiera di Volcente:

"Fermatevi, uomini; che ragione all'andare? Che soldati

siete? Dove vi dirigete?". Essi non si fecero incontro,

ma fuggirono veloci nel bosco e s'affidarono alla notte.

Da tutte le parti i cavalieri si slanciano nei noti

bivii e circondano di guardie tutti gli sbocchi.

Era una vasta selva irta di cespugli e di nere

elci, e dovunque la riempivano fitti rovi;

lucevano radi sentieri tra piste occulte.

Ostacolano Eurialo le tenebre dei rami e la pesante preda,

 e il timore lo trae in inganno con la direzione delle vie.

Niso s'allontana. Incauto, oltrepassa il nemico,

e i luoghi che dal nome di Alba si chiamarono Albani

- allora, alte pasture, li deteneva il re Latino - ,

quando si ferma e si volge inutilmente all'amico scomparso:

"Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato?

E per dove seguirti?". Ripercorrendo tutto l'incerto cammino

della selva ingannevole, e insieme scrutando l'orme,

le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti.

Ode i cavalli, ode lo strepito e il richiamo degli inseguitori:

non passa lungo tempo, quando gli giunge agli orecchi

un clamore, e vede Eurialo; già tutta la torma,

con improvviso tumulto impetuoso, trascina lui oppresso dall'inganno

della notte e del luogo, lui che tenta invano ogni difesa.

Che fare? Con quali forze ed armi oserà salvare

il giovane? O si getterà per morire sulle spade

nemiche, e affretterà con le ferite la bella morte?

Rapidamente ritratto il braccio vibrando l'asta,

e guardando l'alta Luna, prega così:

"Tu, o dea, favorevole soccorri la nostra sventura,

bellezza degli astri, latonia custode dei boschi.

Se mai per me il padre Irtaco portò doni

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