𝗰𝗮𝗽𝗶𝘁𝗼𝗹𝗼 𝗼𝘁𝘁𝗼

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Ladri rubarono loro le parole quel giorno.
Trascorsero il pomeriggio immersi nel silenzio, immersi nel dolore mentale e fisico che la loro psiche produceva. Satori sostava sul letto tra le braccia di Wakatoshi, immobile, col respiro flebile; intanto, i pensieri torturavano quest'ultimo, le lacrime amare si seccavano nei contorni dei suoi occhi.
E oh, questo sentimento non si attenuò di certo col passare dei giorni. Le sue iridi non poterono fare a meno di assistere al progressivo peggioramento del rosso, ai suoi quintali di medicine, di antibiotici ed analisi.
I corridoi dell'ospedale sapevano di un tremento odore di malato, morte e rimorso, e lui non riusciva quasi a sopportarlo.

Quella mattina, Wakatoshi si svegliò tra le calde braccia dei raggi solari: come ormai spesso accadeva, egli aveva trascorso la nottata a rigirarsi sul freddo letto d'ospedale.
Era seduto sulla piccola e scomoda sedia di fianco ad esso, attendendo che Satori si svegliasse.
Quella triste stanza era ormai divenuta la sua seconda casa. In compagnia del rosso, si sentiva atteso là, tanto da passarci quasi tutto il suo tempo al di fuori degli allenamenti.

Preso dalla noia si alzó, recandosi verso la scrivania dove il ragazzo riponeva i libri. Curioso, prese a sfogliarne qualcuno.
Fantasy, classici, fumetti, manga, gialli e manuali, quel ragazzo proprio non aveva un genere preferito: pareva scegliere la sua lettura a casaccio, in base a cosa, in quel momento, la sua psiche necessitasse di più. Combattimenti, mondi magici, scene del crimine, qualunque cosa trasportasse Satori fuori dalle mura dell'ospedale, a lui andava bene. Prese a sfogliare qualche fascicolo sulla pallavolo, trovando qualche suo appunto in matita. Qualcuno era sui ruoli, qualcun'altro sulla formazione, qualcun'altro ancora tramutava in vere e proprie opinioni personali sullo sport in questione.

"Spero che Wakatoshi-kun possa giocare anche per me."

La scritta si estendeva sbiadita ad un lato della pagina e, in tutta la sua sincerità, colpí l'asso nei meandri del suo cuore. Aveva sempre saputo quanto Satori desiderasse mettersi in gioco nonostante la sua malattia, ma comprendere in quel modo il motivo per cui tenesse tanto a fargli riprendere la pallavolo, lo scosse alquanto.

La sua attenzione venne distolta dall'appunto soltanto pochi secondi dopo: Shiori varcò la soglia, e sorridente lo salutó.
Mentre prendeva a sistemare un po' la stanza, gli chiese dunque di svegliare il rosso, così che potesse prendere gli antibiotici. Ella comprese dal suo sguardo, dalle sue palpebre gonfie e rossastre, che egli dovesse aver appreso la triste verità.
Gli diede qualche pacca di conforto, lasciandolo poi avvicinare all'amico.
Titubante Wakatoshi scosse la sua spalla, chiamandolo dolcemente tra i mugugni che emetteva.
"Tendou, è l'ora degli antibiotici." aggiunse qualche secondo dopo, mentre la risatina di Shiori si propagava tra le quattro mura. Piano il rosso diede luce alle sue iridi scarlatte, scorgendo il volto dell'altro illuminato dal sole. Sorrise.

"Che c'è?" domandò questi, stupito dal suo sorriso genuino. Satori continuó a scaldarsi tra le coperte del letto, mentre il cuscino veniva stretto pian piano nelle sue braccia.
Scrollò le spalle, sbadigliando.
"Mh, ho fatto un bel sogno."
"E che cosa hai sognato?"

La sua domanda venne clamorosamente ignorata, e così, il malato si limitó a mettersi a sedere. Shiori gli passò l'occorrente per continuare la cura inalatoria, e qualche minuto dopo i due si ritrovavano là, nel silenzio dei macchinari.
Capitava spesso che in quei momenti fosse Wakatoshi a portare avanti - piuttosto impacciatamente - il discorso. Altre volte, invece, i due si limitavano a guardare qualcosa alla TV.

Semi-sdraiato sul letto, Satori continuava a prendere la sua cura. I due sostavano in silenzio, tra il rumore del respiratore e l'odore dei medicinali. Egli portó lo sguardo su Wakatoshi: da giorni, si era ormai stancato di quella solita routine, che fino ad allora non aveva ancora portato a nulla di buono. Quando il ragazzo si voltò verso di lui, gli venne naturale sbuffare, sospirare ed abbassare piano la maschera.
"Questa cosa non servirà, Toshi..."

Ushijima parve assai perplesso e preoccupato. Il suo sguardo viaggiò sino alla sua mano e, con fare calmo ma deciso, riportò la maschera sul suo volto.
"Continua, Tendou."
Nonostante il suo viso parve contrariato, Satori non provò neppure a ribattere le sue parole: semplicemente, le sue iridi vermiglie scrutarono le sue smeraldo, e si abbassarono poi sulle coperte grinzose del letto.
Soltanto quando la cura terminò, egli sollevò il capo: il suo sguardo si rivolse nuovamente all'amico, e non ci volle molto prima che un sorriso illuminasse le pieghe della sua pelle.

"Che succede?" chiese questi confuso, sforzandosi di mostrare almeno un sorriso accennato. Le labbra di Satori si arricciarono felici, e si poggiò alla testata del letto con braccia incrociate.
"Mh~, io so cosa mi farebbe stare bene..." disse con fare furbo, chiudendo le palpebre in attesa di una risposta.
"Sentiamo" rise Wakatoshi; ogni qualvolta l'amico utilizzasse quel tono, una cosa era certa: presto ne avrebbe sparata un'altra delle sue.
"Wakatoshi-kun, mai sentito parlare dei benefici della brezza del mare? Di quanto l'odore salmastro faccia bene alla respirarazione?" cominciò scherzando "Controlla su Google, mica me lo sono inventato!"
Presto, indicò lo smartphone di Ushijima: quest'ultimo, seppur divertito, sollevò le sopracciglia. Osservò l'altro cogliendo la sua ironia, e scosse la testa poco dopo.
Capendo di non avere possibilità, Satori si lasciò scivolare sul letto e, sdraiato, sbuffò.
"Avvicinati allora, guardiamo un film..."

Irremovibile, Wakatoshi prese il proprio zaino: come d'abitudine tirò fuori il suo computer e lo poggiò sul letto di Satori, che nel frattempo si era spostato un poco per fargli spazio.
"Senti, arrivo subito. Vado a prendere qualcosa per colazione alle macchinette. Tu vuoi niente?"

Annoiato, il rosso scosse la testa.
"Non ho fame."
"Sei proprio sicuro? Nemmeno ieri sera hai cenato, Tendou."
Ushijima parve preoccupato, e con sopracciglia corrugate ancora non si azzardava a fare un passo verso la porta.
"Non preoccuparti, per pranzo vedrò di mangiare qualcosa. Adesso non mi va, davvero." egli tentò di rassicurarlo: nonostante sentisse la sua pancia brontolare per la fame, le fitte gli impedivano di mangiare qualsiasi cosa. Quel dolore sarebbe solamente peggiorato, e in quel caso egli si sarebbe sicuramente messo a vomitare.
Mentre Wakatoshi usciva dalla stanza, gli disse di scegliere un film che sarebbe potuto piacere ad entrambi: i sensi di colpa lo pervadevano, ma ancora non era sicuro se, portare Satori alla spiaggia, fosse una buona idea. Specialmente in quel momento, dove le sue condizioni non eran delle migliori.
Se, per caso, si fosse sentito male, o peggio, avesse avuto una crisi respiratoria mentre si trovavano fuori dall'ospedale, che avrebbe potuto fare? Chiamare un'ambulanza ed attendere i soccorsi? Troppo rischioso.
Soprattutto adesso che, con l'infezione polmonare, le crisi respiratorie erano quasi diventate oggetto di routine nella vita del ragazzo. Decisamente troppo rischioso.

Quando tornò nella stanza, egli aveva già scelto un film. La mattinata trascorse piacevolmente, alla fine, nonostante Ushijima non facesse altro che chiedere al ragazzo se voleva qualcosa per placare la fame. Alla fine, riuscì a convincerlo a mangiare qualcosa per pranzo. Ma ogni cucchiaiata era una tortura per Satori, e metà piatto rimase pieno di cibo.

Quella giornata infine terminò, ma Wakatoshi non sapeva che, da quel giorno, le sue preoccupazioni sarebbero solo che aumentate.

❝𝗳𝗮𝗿𝗲𝘄𝗲𝗹𝗹, 𝗺𝘆 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗱𝗶𝘀𝗲❞ 𝗎𝗌𝗁𝗂𝗍𝖾𝗇Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora