Capitolo 12.

48 8 9
                                    

Zac

È da quarantacinque minuti che sono attaccato allo schermo cercando negli amici, degli amici, degli amici, il profilo Instagram di Micol. Quando credo di averlo trovato istintivamente invio la richiesta pentendomene praticamente subito. Appoggio la testa sul cuscino, sento gli occhi estremamente pesanti.
Passa qualche minuto prima che me la accetti e non appena lo fa passo una buona mezz'ora sul suo profilo. Tra storie e post non riesco a smettere di guardarla.
Trovo sia fastidioso sentire un'attrazione per lei, fastidioso perché è come se mi sentissi dipendente e io non lo sono mai stato, da nessuno.
Sono estremamente tentato di mandarle un messaggio ma decido di fare, come direbbe mio fratello, il prezioso e vedere che succede.
Quando dopo dieci minuti ancora non è successo nulla mi do per vinto e scendo a fare una passeggiata per la città.
Il modo in cui New York si accende di notte è così bello, ci trovo così tanta ispirazione che sarei capace di scrivere un libro, proprio io che in letteratura avevo l'insufficienza.
Mentre cammino con le mani in tasca una macchina si ferma a pochi passi da me. L'autista scende preoccupato e apre il cofano, lo vedo con un'espressione assorta mentre cerca di capire qual è il problema.
«

Tutto bene?» chiedo avvicinandomi. Non l'avessi mai fatto, il suo volto è familiare e forse troppo. Solo mentre mi guarda dall'alto al basso realizzo che ho davanti il padre di Micol.
«Il tipo del sangue» afferma spostandosi gli occhiali dal naso.
Rido arrossendo un po', sono visibilmente imbarazzato.
«Qualcosa non va con l'auto?» chiedo incrociando le braccia al petto.
«Si è fermata...» dice passandosi una mano sulla fronte.
«Io sono un meccanico, posso dare un'occhiata?»
«Meccanico?» chiede stupito.
«Proprio così, so che do l'aria di un avvocato. » sorrido ironico pensando a sua figlia. Se ora stesse assistendo sicuramente starebbe ridendo. Mi avvicino alla macchina e osservo in silenzio per qualche secondo mettendo le mani qua e là.
«Il problema è nel motore, dovresti... dovrebbe portarla in un'officina.»
«A quest'ora non so dove posso andare...» dice nervoso.
«Io potrei ripararla, ma ho bisogno di alcuni attrezzi.. Che a casa mia non ho...»
Lo vedo perplesso, evidentemente non vuole farmi riparare la sua macchina ma, mantengo la calma e, decido di non avere reazioni negative.
«Questo è il numero di un'officina, domattina manderanno qualcuno.» dico porgendogli il biglietto da visita dell'officina che mi ha offerto il lavoro. Afferra il biglietto con due dita e lo osserva sempre scettico.
«Grazie, ragazzo, e l'occhio... Come va?»
Alzo un sopracciglio sorridendo.
«Da dottore, lei che ne dice?» chiedo tornando serio.
«Passerà, crema e surgelati sull'occhio. Andrà via.» ammette serio prima di telefonare a qualcuno.

Una volta andato via, in macchina di un amico, non perdo tempo a dirigermi verso il primo pub aperto. Ordino da bere e perdo velocemente la stabilità.
La musica rimbomba all'interno della mia testa e due o tre ragazze mi si avvicinano. Si strusciano, si muovono, mi accarezzano spalle e pettorali ma a differenza delle altre volte io sono totalmente disinteressato.
Non mi interessano i loro corpi, nonostante siano bellissimi corpi, con un'espressione corrucciata le allontano tutte. Una dopo l'altra.
Esco dal pub barcollando. Vedo luci, macchine e, prima di vedere tutto nero, metto a fuoco una massa di capelli rossi.

«Muoviti, tesoro, è mezzo morto a terra e continua a ripetere il tuo nome!» sento mentre muovo un po' la testa appoggiata su una felpa.
«Micol...» dico senza rendermene conto con gli occhi ancora semichiusi.
Il tempo di realizzare e sento una voce conosciuta, forse troppo.
«Zac, mi senti?» di colpo apro gli occhi e lentamente metto a fuoco la sua figura.
Ha i capelli legati in uno chignon e indossa una felpa grigia di Hard Rock, si potrebbe dire disordinata, ma non riesco a non notare la sua bellezza.
«Zac? Alzati forza» il cerchio di persone attorno a me diminuisce mano a mano che mi alzo. È solo quando sono seduto a terra che riesco a focalizzarla bene. Accanto a lei c'è la sua amica rossa che le sussurra qualcosa all'orecchio con un sorriso malizioso.
Deciso a dimostrare la mia autonomia faccio per alzarmi ma barcollo, la testa mi gira come un hula hoop e lei si offre da appoggio.
Mi aggrappo a lei, nonostante io sia ben più alto, e lei chiede flebilmente:
«Dove abiti, Zac?»
«Tutto dritto» bisbiglio con le palpebre che faticano a stare su.
Ci fermiamo davanti al portone di casa mia, ha uno sguardo stranito. Probabilmente vivendo in quella villa di periferia non conosce gli appartamenti in centro.
Ancora una volta cerco di recuperare autonomia e, ancora una volta, cado. Stavolta sulle scale, lei sorride scuotendo la testa e io faccio lo stesso.
Mi aiuta ad alzarmi e saliamo insieme fino al mio appartamento. E dopo minuti interi a cercare la chiave giusta entriamo.
Mi butto a peso morto sul letto con la faccia premuta contro il cuscino.
Picchietto con la mano il letto, accanto a me, invitandola a sedersi.
Quando sento il letto muoversi capisco che è accanto a me e faccio forza per aprire gli occhi.
«Scusa se ti ho disturbata...» riesco a dire a bassa voce. Mi sento come un bambino indifeso, ora, accanto a lei.
«Non c'è problema, dove trovo dell'acqua?»
«Lavandino» so per certo che la sua espressione è stranita anche se non la vedo. Una come lei l'acqua la beve dalle bottiglie di vetro.
Torna con un bicchiere pieno d'acqua e mi incita a berlo, per un momento che sembra infinito manteniamo il contatto visivo. E mi sarebbe piaciuto mantenerlo per più tempo ma il mio stomaco ha inziato a brontolare e dopo poco mi sono trovato a vomitare davanti al gabinetto.
È appoggiata allo stipite della porta. Mi sta osservando con un piccolo sorriso che tenta di nascondere.
Il suo chignon si è totalmente sciolto e ora i capelli sono sciolti.
Mi passo il dorso della mano sulla bocca e mi lavo velocemente i denti.
«Ti senti meglio?» mi chiede guardandomi.
«Ora sì» sento di avere più autonomia di prima perché riesco a camminare senza cadere a terra, ma non sono al mio massimo.
Forse voglio solo passare altro tempo con lei.
L'orologio segna la una e mezza del mattino, mi dirigo verso il letto e mi ci sdraio a pancia in su.
«Ti va di rimanere?» chiedo sconfiggendo finalmente l'imbarazzo.
La vedo estremamente perplessa, sto per pentirmi della domanda che ho fatto quando acconsente.
Si sdraia a pancia in su e poi volta la testa verso di me.
Chiudo gli occhi e finalmente prendo sonno.

Un rumore mi sveglia, in tre secondi riesco a focalizzare la sveglia, la bellissima ragazza accanto a me e il rumore che proviene dalla porta. Qualcuno sta bussando e per non svegliare Micol, che dorme beatamente sdraiata su un fianco, corro alla porta.
Sono solo le otto del mattino, non ho idea di chi possa essere.
Il bussare si fa sempre più forte e acellero il passo.
Giro la chiave, abbasso la maniglia e il mio cuore manca di un battito.
«Ciao, Zacary»


angolo autrice
Dopo tanto sono riuscita a completare il capitolo 12 e a pubblicarlo!
Spero solo che vi possa piacere, in tal caso lasciatemi una stella o un commento! È sempre bello leggerli
🥺❤️
Vi abbraccio!

YOU ARE MY PERSON Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora