Capitolo 10.

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Zac

«No, non lo so. Perché?» chiedo in risposta alla sua domanda, sinceramente mi sembra a dir poco assurda. Non ci sono così tanti modi di chiamare un figlio, avranno preso spunto da qualche parente o da un libro di nomi per neonati figli di genitori indecisi (sicuramente non come i miei genitori, pur non volendomi, si sono accordati sul nome in meno di cinque minuti prendendo spunto dal prozio di mio padre che, a parola sua, era stato in guerra).
«Il primo viaggio che mia madre ha fatto in Africa lo ha fatto appena ha scoperto di essere incinta di me. In Africa c'era un elefante femmina della quale si era davvero innamorata. L'elefante si chiamava Micol.»
No... Non ci posso credere.
«Sul serio?» dico appoggiando sul tavolo il bicchiere ormai vuoto.
«Certo. Ora tu, è il tuo turno.»
Penso qualche istante. Cosa dovrei dirle? Ci conosciamo da troppo poco per iniziare a raccontare della mia famiglia e poi trovo questo gioco abbastanza stupido.
«Vengo da Ottawa, in Canada.» affermo convinto staccando i gomiti dal tavolo e appoggiando totalmente la mia schiena allo schienale di tessuto morbido.
«Lo avevo intuito dalla cadenza al francese, mon ami...» dice lei appoggiandosi a sua volta e incrociando le braccia sotto al seno mentre guarda distrattamente fuori dalla grande e luminosa finestra della caffetteria.
«Non dirmi che parli francese..» alludo sorridendo e alzando un sopracciglio.
«Oui, il est si... L'ho imparato a scuola, ho studiato lingue. Parlo anche correttamente il tedesco e lo spagnolo. Ich heiße..»
Non continua la frase in tedesco perché probabilmente intuisce che non ne capisco una parola e torna a guardare fuori dalla finestra.
Accipicchia, però, sa davvero tante cose. Ed io che alle medie andavo bene solo in matematica.
«Beh, fille, tocca a te o sbaglio?» chiedo sorridendo, il mio atteggiamento è curioso in realtà, di solito non sono così con persone che non conosco. Tendo sempre a farmi una sorta di corazza protettiva che mi isoli dal resto del mondo.
«Sbagli, tocca a te, io ti ho detto che ho studiato lingue.»
Astuta. Ora ho bisogno di qualche altra nozione su di me senza svelarle troppe cose che suppongo che non vorrebbe sapere.

«Non ci credo!» esclama con la bocca spalancata.
«Seriamente la tua famiglia ti ha trattato così a pesci in faccia?» chiede in modo piuttosto schietto e da lei direi addirittura inaspettato.
Una parte di mé me lo diceva di starmene zitto e non raccontarle il mio passato tormentoso con la mia famiglia ma poi ho aperto bocca e non ho tralasciato alcun dettaglio.
«A quanto pare...» alludo ad un falsissimo sorriso e lei strabuzza gli occhi ancor di più.
«Anche la mia famiglia non è delle migliori ma, cavolo, tu ne hai passate di ogni con la tua...»
Un istante dopo la sua mano, calda e abbellita da un anello d'argento, si posa sulla mia appoggiata in precedenza sul tavolo.
Sento improvvisamente uno strano tremorio appena sotto lo sterno e sento il battito del mio cuore aumentare.
Lei, dal canto suo, ha un'espressione strana e tiene le labbra aperte in un sussulto come se si fosse accorta ora del gesto appena compiuto.
La vedo soffermarsi con lo sguardo sul mio occhio e istintivamente ci passo la mano. Quella libera, l'altra è ancora sotto la sua e non credo di aver intenzione di spostarla.
«Potrebbe sembrare ambiguo ma quel ematoma che hai sull'occhio non mi piace per nulla...» chiede timidamente abbassando lo sguardo per poi tornare a guardare il mio occhio.
«E cosa ci sarebbe di ambiguo?» chiedo sorridendo riferendomi alla sua frase.
«La parte ambigua ancora non l'ho detta... Ho un'ottima crema per gli ematomi, se vuoi puoi passare da me..» nel suo tono di voce si sente chiaramente l'imbarazzo ma non intendo metterla più in soggezione di quello che già è.
«Va bene, d'accordo.»

«Cavolo. Non mi avevi detto che a piedi era così lunga la strada...» affermo con un po' di fiatone mentre lei è tranquillissima e con un respiro normale e calmo.
«Bisogna solo abituarsi, Zac, se sei così scarso forse dovevamo prendere la macchina.» afferma scherzosamente. Scarso io? Forse un po' ma questo tipo di provocazione mi spinge e farle capire che in realtà è tutto il contrario. È più forte di me.
«Pensi davvero che io sia scarso?» chiedo fermandomi e facendo in modo che anche lei si volti verso di me.
«Mmhh... Sì, lo penso.» risponde sorridendo e noto sulle sue goti un lieve rossore.
«Okay, casa tua è quella là in fondo, vero?» chiedo indicando la casa lontana circa cinquecento metri.
«Sì, è quella.» risponde senza darci troppo peso.
«Okay, vediamo chi arriva prima allora.» e senza lasciarle il tempo di capire inizio a correre.
Mi volto e vedo che sta correndo anche lei, sento il petto bruciare e le gambe crollare ma non mi sono mai sentito così bene.
Dopo poco siamo davanti all'ingresso di casa sua.
«Hai visto? » chiedo ansimante con il petto che sembra andare a fuoco e la milza che minaccia di esplodere.
«Sei partito prima...» risponde anche lei col fiatone appoggiandosi alla porta con la schiena mentre con una mano fruga nella borsa alla ricerca della chiave.
«Trovata!» esclama estraendo un mazzo di chiavi decorato da un portachiavi enorme che riporta la lettera "M".

Casa sua è simile a quelle immagini che si trovano su internet se si digita "foto case newyorchesi". Sono totalmente perso a guardare la città dalle enormi finestre, che sembrano uscite dalla casa di Edward in Twilight, e nemmeno mi accorgo che mi sta chiamando.
«Ho trovato la crema, vieni...» cammina avanti a me per un lungo corridoio e mi fermo più volte a guardare le foto appese ai muri.
Una in particolare riporta una piccola bambina dai ricci castani che sorride, senza i due denti davanti, dietro ad una torta con sei candeline.
«Zac?» mi richiama all'attenzione lei.
«Mmh, sei tu questa?» chiedo indicando la fotografia.
«Sì, sono io.» dice con un nonchalance senza darci alcun peso mentre ritorna a camminare verso il bagno.
«Sei allergico a qualcosa, Zac?» chiede leggendo velocemente il figlietto delle avvertenze.
«No, a meno che questa crema non sia fatta di eucalipto.» affermo sorridendo mentre, lei, con un'espressione stranita svita il tappo della crema.

Se ne fa scivolare un po' sul dito e poi mi osserva dal basso. Se ha intenzione di mettermi lei stessa questa pomata devo decisamente abbassarmi.
«Siediti pure sulla lavatrice.» ammette imbarazzata cercando di nascondere un sorrisetto.
Faccio come detto, sposto un flacone di ammorbidente, e con un piccolo balzo mi ci siedo sopra.
Le mie gambe sono leggermente aperte e lei ci si posiziona nel mezzo.
Se ora negassi di sentire le farfalle nello stomaco mentirei.
«Fermo.» mi dice quasi sussurrando mentre appoggia la crema sul mio occhio nero.
Sussulto al suo tocco, ma non per il dolore all'occhio. Anche lei sembra imperterrita sul da farsi ma continua a passare lievemente i polpastrelli sul mio occhio.
«Nei prossimi due giorni continua a metterla, te la presto.» dice sorridendo e spostandosi facendomi scendere dalla lavatrice.

«Torni a piedi?» chiede quando ormai siamo alla porta di casa.
«Sì, certo, poi te la dovrò ridare la crema..» dico alludendo ad un sorriso.
«Poi vediamo.» taglia corto alzando entrambe le sopracciglia.
Sto per mettere la mano sulla maniglia quando la porta si apre dal verso opposto e mi arriva dritta in faccia.
«Merda!» impreco tenendo la mano stretta sul naso dolorante.
Alzo lo sguardo e noto un uomo di mezz'età con gli occhiali che lasciano intravedere uno sguardo arrabbiato.
«Papà!» lo richiama Micol guardandomi il naso che nel frattempo ha iniziato a sanguinare.
«Ma che diavolo succede qui? Chi è lui?» esclama entrando in casa e prendendomi per le spalle osservandomi il naso.
«Vai a prendere il cotone, Micol.»

«E tu chi diavolo sei? E che hai fatto all'occhio?» mi chiede mentre lei sta cercando il cotone dall'altra parte della casa.
«Sono un amico di Micol.» mi giustifico tenendomi il naso.
«E che hai fatto all'occhio?» intuisco che non ha parlato dell'aggressione al padre e mi limito ad alzare le spalle.
«Se sei un delinquente non frequentare mia figlia, ragazzo. Insomma, Micol, questo cotone dov'è?» dice come una minaccia per poi chiamare Micol che arriva con in mano due batuffoli di cotone.

«È solo la terza volta che ci vediamo, Micol, alla quarta mi ucciderai per caso?» chiedo una volta fuori casa cercando di fare lo spiritoso riferendomi a tutte le volte in cui per vedere lei me ne sono tornato a casa sanguinante.
«Mi spiace, Zac, credimi... Spero che mio padre non ti abbia detto nulla di strano..»
«No, a parte che se sono un delinquente devo starti lontano.» rispondo con le mani in tasca.
Siamo fuori dalla porta di casa sua e sta iniziando a fare freddo.
«Oh mio Dio, mi spiace che ti abbia detto questa cosa...» dice scusandosi passandosi una mano sul gomito.
«Nah, figurati, l'avrei fatto anche io se avessi una figlia e questa figlia portasse a casa un ragazzo con un livido su un occhio...» dico prima di scoppiare in una risata e coinvolgere anche lei.
«Ciao, Micol.» la saluto sorridendo.
«Ciao, Zac.» dice ricambiando e voltandosi per poi entrare in casa.



Angolo autrice💜
Sono tornata più carica di prima, spero solo di riuscire ad organizzare Wattpad con tutti gli impegni.

Importante: il capitolo riporta alcune parole in lingua francese, attualmente non studio francese quindi se c'è qualcosa di scorretto fatemelo notare di modo da poterlo correggere. grazie! ❤️🇫🇷

Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemelo sapere con un commento🥺✨
Vi voglio bene👑
Vale🌬️

Ultima revisione: 11/10/2020

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