Capitolo 8.

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Zac

Per la piega che ha preso la serata sono più che convinto che avrebbero potuto realizzare un meme sulla mia vita: quando provi a conquistare una ragazza e ti ritrovi a difenderla da un maniaco probabilmente anche omicida e alla fine è lei a salvare te.
Nonostante possa essere strano per me ammettere di essere stato difeso da una donna, Micol è stata assolutamente fantastica.

Tolgo la giacca e la lancio in un angolo del bagno. Mi appoggio al lavandino con entrambi i gomiti e mi sciacquo la faccia con l'acqua fredda massaggiandomi il naso dolorante e l'occhio già gonfio.
Beh, Zac. Dopotutto l'hai colpita, forse non come il tizio ha colpito me ma comunque l'ho colpita.
Mentre osservo la mia figura allo specchio intuisco che domattina avrò un bel livido blu sull'occhio ma tento invano di non pensarci.

Ho conosciuto molte ragazze ma lei sembra davvero di un altro universo.
Non ha voluto lasciarmi il suo numero di cellulare e non mi ha nemmeno invitato a salire a casa sua. Tutto l'opposto delle ragazze con cui sono solito uscire.
La cosa buona è che domani ci incontreremo da Starbucks. Stavolta potremmo parlare senza rischiare troppo.

Apro la finestra e mi appoggio con i gomiti alla ringhiera scorticata e arrugginita del balcone.
Accendo il cellulare per distrarmi e noto nei messaggi un "mi manchi" da mia madre. Le volte che mi ha difeso da mio padre in diciotto anni si possono contare sulle dita di una mano, ma un figlio rimane sempre un figlio e quindi è comprensibile che anche a distanza di anni senta la mia mancanza.
Anche io in questo tempo ho sentito la mancanza di casa, nonostante le persone che ci vivessero.
Decido di risponderle scrivendo che sto bene, non voglio che si preoccupi. Nelle nostre rare telefonate non le ho mai parlato delle risse di strada, dei licenziamenti oppure di quante ragazze avessi ospitato tra le mie lenzuola; preferisco che non riferisca a mio padre che sono un totale fallimento anche a chilometri di distanza.

Scorrendo tra i messaggi ricordo che il capo non mi ha ancora richiamato, il licenziamento è ora a dir poco ufficiale e da domani devo assolutamente cercarmi un lavoro. Cantare in strada Harry Styles non mi farà arrivare a fine mese, o almeno non per molto.

Spengo il cellulare e prendo il portafogli aprendone una fessura nel cuoio. Ci tengo da anni una foto di me e Mike. Non sono mai riuscito a liberarmene, al contrario di molte altre fotografie digitali, quella fotografia è una parte di me. Troppe emozioni racchiuse in un pezzetto di carta.
È una foto vecchia, io avevo quindici anni e lui quasi diciannove.

Ricordo perfettamente quel giorno.
Avevo appena invitato una ragazza al ballo di San Valentino della scuola, lei aveva accettato. Mio fratello aveva invitato una ragazza ed eravamo entrambi contenti e vestiti come due pinguini davanti alla rampa di scale che porta al piano di sopra di casa nostra. All'interno delle nostre tasche della camicia un fiore bianco che avremmo dovuto dare alle rispettive ragazze.
Nella foto Mike ha un braccio attorno alle mie spalle e entrambi sorridiamo, poi ha deciso di ballare con la ragazza che avevo invitato e che a me piaceva da anni.

Fu un durissimo colpo per il ragazzino già insicuro che ero, ricordo che me ne andai dal ballo e tornai a casa percorrendo a piedi due isolati sotto la neve. Il vento freddo mi scompigliava i capelli e i miei occhi gonfi di pianto iniziarono a bruciare...

Scuoto la testa cercando di allontanare quel ricordo e getto la sigaretta dal balcone. Ripongo la foto nel portafoglio con gli occhi leggermente lucidi e sospiro.
Entro in casa chiudendo la finestra e mi butto a peso morto sul divano letto cercando di evitare il contatto cuscino-occhio per non sussultare dal dolore.

✰✰✰

Mi sveglio di soprassalto, sono tutto sudato. Cazzo, un altro incubo.
La luce flebile del primo sole mattiniero entra dalle fessure delle tapparelle.
Guardo l'orologio, sono le sei del mattino. Mi alzo sbadigliando e mi dirigo verso la cucina.
Apro tre sportelli prima di trovare quello dove tengo i cereali.
Li metto in una tazza con il latte tentando di dare un senso ai miei capelli.
Mentre mangio cerco di ripercorrere il sogno, è l'incubo ricorrente da qualche mese ormai.

Nel sogno sono nel salotto a casa dei miei, c'è Mike con me. All'improvviso entrano nella stanza mamma, papà e tutti i parenti.
Si accalcano tutti a Mike e lo riempiono di complimenti, io urlo e qualche volta piango ma nessuno mi nota.

Apro il laptop sbadigliando e inizio a cercare qualche lavoro, ne trovo uno. Colloquio oggi pomeriggio, meccanico. Finalmente posso lavorare per quello che ho studiato, segno su un post-it giallo l'indirizzo dell'officina e lo attacco allo sportello del freezer.

È ancora presto e il sonno inizia a farsi sentire, decido così di tornare a dormire lasciandomi cadere sul letto per poi imprecare per il dolore provocato dal contatto della stoffa del cuscino con il mio occhio dolorante.

Socchiudo gli occhi e per una frazione di secondi la vedo: Micol.
Quando ci siamo guardati sotto la luce del lampione al Central Park, la fronte corrugata in un espressione impaurita e gli occhi pieni di lacrime.
Scaccio quell'idea di lei, prima di addormentarmi di nuovo, e penso a quando mentre camminavamo mi ha sorriso dolcemente... Gli angoli delle mie labbra si sollevano in un sorriso e cado in un sonno abbastanza profondo, per poi svegliarmi quattro ore dopo.

Angolo autrice🤍
Stasera mi sentivo particolarmente ispirata e ho deciso di completare la prima bozza del capitolo, considerando che è stata una giornata molto piena, chiedo scusa per eventuali errori!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Votate e lasciate una stellina se è così!
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