Micol
«Micol! Hanno bisogno di te alla cassa, sbrigati!»Tralasciando il fatto che sono in anticipo di ben cinque minuti, mi chiedo come io sia potuta finire a lavorare in questo posto che fa aumentare l'obesità, anche infantile, del 50% minimo.
Dopo tutti i miei studi, dopo tutte le notti passate sui libri e i litri di caffè ingeriti per riuscire a studiare.
Indosso il grembiule verde scuro e le scarpe nere antinfortunistiche. Mi posiziono davanti alla cassa e prendo un respiro.
Inizia un'altra giornata di lavoro, perlomeno è una professione a stretto contatto con le persone ed è una cosa che personalmente mi piace molto.«Buongiorno, dica pure.» La frase che ripeto già da un po', ormai come un disco rotto senza nemmeno pensare a chi ho davanti.
«Un Big Mac e una Coca-Cola grande, perfavore.» È una bambina decisamente in sovrappeso ma non posso ovviamente dire nulla. Mi limito a sorridere e annuire, in quanto di obesità nell'età infantile la nostra America è al primo posto e questa cosa deve assolutamente cambiare.
«Certo, piccola. I tuoi ordini arrivano subito.»
Lascio il biglietto ai ragazzi della cucina e mi preparo a servire il prossimo cliente.
Dopo un numero interminabile di persone finalmente è il momento di togliermi quegli indumenti da lavoro e tornare a casa.
Tiro un sospiro di sollievo. La ragazza che deve prendere il mio posto arriva e io vado a cambiarmi.Esco dagli spogliatoi e passo dal bagno, uscendo dalla porta con la scritta "toilet" ed un disegno rosa, con la testa in aria, vado a sbattere contro qualcuno decisamente più alto di me.
A terra era umidiccio ed entrambi scivoliamo. Siamo mezzi sdeaiati a terra. Con l'unica differenza che lui è pulito, mentre io ho la sua Coca-Cola sui vestiti.«Scusa.» dico spontaneamente, forse sono troppo educata. Un'altra persona lo avrebbe senza ombra di dubbio insultato.
«No, scusa tu...» sollevo lo sguardo dalla mia camicia bianca, ormai marrone, per vedere chi insultare durante il lavaggio degli indumenti.
Oh... Gli faccio una delle mie velocissime "radiografie" e noto a dir poco immediatamente gli occhi.
Non sono i classici occhi azzurri normali che avevo desiderato da sempre, da brava ragazza castana, ma di un azzurro diverso. Sembra quasi verde acqua...con anche delle striature che sembrano bianche.
Ha un'espressione corrucciata. Lui arrabbiato? E la mia camicia? Dovrei essere io quella arrabbiata!
È un bellissimo ragazzo, comunque.Smettila di guardarlo, Micol!
Torno velocemente in me e lui mi porge la mano aiutandomi ad alzarmi.
«Mi dispiace per la camicia.» sforzo un sorriso e lui se ne va con un nonchalance lasciandomi con la mano a mezz'aria.
Rimango lì impalata come una demente, quasi come se mi aspettassi qualcosa di educato come "ti ripago la camicia nel caso non riuscissi a ripulirla".
Mi guardo un'ultima volta la camicetta e la macchia marrone appiccicosa. Bene, ragazzo, chiunque tu sia, avrai il mal di testa dopo tutti gli insulti che ti arriveranno dopo.• • •
«Al diavolo. Sapevo non sarebbe andato via.» Impreco sfregando con una spugna il tessuto.
«Stronzo.» Bisbiglio come se fosse appartato dietro ad una parete e potesse sentirmi.
«Vaffanculo. » concludo il tutto gettandola in angolo.Torno nella zona giorno di casa mia e mangio qualcosa mentre parlo al telefono con Lara. Ometto volontariamente l'incontro con lo sconosciuto della Coca-cola perché conoscendola so che inizierebbe con i suoi film mentali da pazza quattordicenne. Non che io non mi faccia questi "film mentali", chiariamo, però preferisco la realtà dei fatti a cose che nella realtà non succederanno mai.
Dopo un'ora a parlare mi sono inventata una scusa e ho attaccato. Mi sono sdraiata sul divano e ho iniziato uno dei miei film preferiti su Netflix: Stand by me.
Mi sveglio di colpo sentendo qualcosa girare nella serratura. Qualcuno sta cercando di entrare. Cielo, e se fosse un ladro?
Mi guardo attorno, non c'è nulla di potenzialmente utile per difendermi... O meglio, afferro uno sgrassatore potente per superfici e mi apposto dietro alla porta.«INDIETRO!» Urlo spruzzando la mia arma contro lo sconosciuto.
«MICOL! COSA DIAMINE COMBINI?!»
Ed ecco che mio padre varca la soglia di casa con le mani sugli occhi e la testa china. Mi sono totalmente scordata del suo rientro, credevo che fosse già a casa.«Papà! Oddio, scusami tanto..» Biascico grattandomi la nuca è posandomi una mano sulla bocca.
«Prendimi qualcosa.» Gli avvicino due fogli di Scottecs imbevuto d'acqua fredda.
Lui se lo posa sugli occhi e mi ordina di guardare il retro della confezione dello sgrassatore.«C'è scritto di contattare un medico. Ti porto al pronto soccorso.»
«Si. E anche in fretta.»
Entriamo in macchina e il silenzio mi uccide.
«Uguale a tua madre, siete uguali. » dice scuotendo la testa.
Ecco una delle affermazioni che più odio di mio padre: Il paragone con mia madre, che ormai non fa più parte della mia vita.Mentre guido stringendo il volante una luce riflette contro i suoi pantaloni e noto che ha la zip aperta.
Lui non dice nulla ma sembra quasi tranquillo. Insiste per entrare da solo al pronto soccorso e a quanto pare vede bene.
Faccio manovra con la macchina e prima di andare abbasso il finestrino.«Papà, hai la zip aperta.»
Si tira su la zip e noto un leggero rossore sulle sue goti. In silenzio entra al pronto soccorso e io mi rimetto in viaggio verso casa.
Torno a casa e vado a dormire. Altro che spray al peperoncino... A quanto pare lo sgrassatore è alquanto efficace.
Sto per addormentarmi e la mia mente ripercorre il ricordo del Mc Donald e della Coca-cola.
Avvicino la mano all'interruttore e spengo la luce. Buonanotte.Spazio autrice🌹
Capitolo 3!
Spero vi sia piaciuto e vi abbia strappato un sorriso!
Fatemi sapere tutto con una stella e un commento!ultima revisione: 28/08/2020
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YOU ARE MY PERSON
RomanceOPERA PROTETTA DA COPYRIGHT, OGNI FORMA DI PLAGIO, TOTALE O PARZIALE, SARÀ SEVERAMENTE PUNITO. Cover realizzata da me. Micol Kidman. Micol ha ventun anni, è diplomata in lingue, vive nella periferia di New York e lavora in un fast food di zona a...