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TW: autolesionismo

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I giorni erano passati velocemente. Non aveva dovuto scegliere niente per il matrimonio, la cerimonia era già stata pianificata nei minimi dettagli. I suoi genitori sarebbero arrivati quella sera, e il giorno dopo si sarebbe sposata. Non aveva chiuso occhio in quelle notti e la stanchezza iniziava a farsi sentire.

Emma le era sempre stata accanto. La sua mente era alla febbrile ricerca di una soluzione, ma la realtà era che non ce n'erano. Per quanto Regina fosse una nobile d'alto lignaggio, Emma era molto più libera di lei. Almeno lei poteva scegliere con chi stare. Certo, tra i servitori e i paesani, ma comunque aveva una scelta.

Anche quella mattina si svegliò in lacrime e con il cuore che le batteva a mille. Un incubo, un altro maledetto incubo.

Emma si svegliò di scatto dalla branda sistemata a pochi passi dal letto di Regina e accorse subito da lei.
«Che succede?» le chiese, ma conosceva già la risposta. Erano giorni che non dormiva.

«Niente» rispose la principessa mentre riprendeva fiato. «Scusami non volevo svegliarti.»

Emma si sedette accanto a lei e le posò le mani sulle spalle, uno sguardo preoccupato e la fronte aggrottata.
«Non devi scusarti. Cos'hai sognato stavolta?»

«Niente di importante.» Il suo sguardo si diresse alla finestra e il suo viso mutò fino ad assumere le fattezze di quella maschera inespressiva che Emma le aveva visto tante volte addosso. «È mattina, andrò a fare una passeggiata a cavallo prima dell'arrivo dei miei genitori» continuò Regina, la voce piatta. Emma le afferrò una mano.
«Regina puoi dirmi tutto, lo sai vero?»

La principessa si voltò a guardarla.

«Promettimi che tu sarai felice. Che almeno tu sposerai una persona di cui sei innamorata.»

Emma non riuscì a nascondere la rassegnazione che provava da anni, ora consolidata.
«Non posso» sussurrò. Poi le sorrise. «Ma saremo insieme, almeno.»

Regina si accigliò.

«Perché non puoi farlo?»

Emma andò nel panico. Cosa avrebbe dovuto risponderle ora? Di certo non la verità, ma doveva trovare una scusa convincente... e gliene venne in mente solo una.
«Ehm... è... è... morto» inventò, rossa in viso.

Regina spalancò gli occhi.
«Emma è terribile!» La abbracciò di slancio. «Perché non me l'hai mai detto?»

Emma rimase rigida in quell'abbraccio, come sempre. Fare altrimenti avrebbe comportato lasciarsi andare, rischiare di rivelare quello che provava con un sospiro, affondare il viso nell'incavo del suo collo... Cercò di concentrarsi su quello che le aveva chiesto.
«Non è importante» mormorò.

«Lo è, Emma, tu sei importante per me.»

Emma si staccò da lei e la guardò negli occhi. Il dolore che provava in quel momento era impossibile da nascondere. Era importante, certo, ma solo come confidente.
«Grazie.» Si sforzò di sorriderle. «Ma ora il problema non sono io. Dobbiamo pensare a te.»

Regina aveva un'espressione strana, quel giorno. Non sapeva cosa fosse a disorientarla, ma Emma, ricambiando il suo sguardo, provò una strana sensazione che non riuscì a decifrare.

«Tu non...» stava dicendo la principessa, ma poi si bloccò e si alzò dal letto di scatto. «Hai la giornata libera, fai pure quello che desideri.»

Emma si alzò lentamente rivolgendole uno sguardo confuso.
«Desidero stare con te.»

«Fai qualcosa che ti piace Emma, per oggi non dovrai stare dietro i miei capricci.»

Emma aggrottò la fronte.
«Tu non sei capricciosa» la corresse con un piccolo sorriso, che tuttavia non contagiò Regina.

«Emma vai. Io ho bisogno di stare sola.»

«Oh.» Dunque non la voleva tra i piedi, ecco la verità. Sentì una fitta di paura trapassarle il petto. Si era stancata di lei? Forse voleva mandarla via, ora che si stava sposando... Abbassò lo sguardo. Le lanciò un'occhiata preoccupata, perché oltre a tutte quelle paure egoistiche, c'era anche il timore che Regina le stesse semplicemente nascondendo la sua sofferenza. Ma la principessa le aveva dato un ordine ben preciso, così si avviò verso la porta. «Come desideri» mormorò prima di uscire.

Quando rimase sola permise alle sue lacrime di uscire. Si rannicchiò sotto le coperte e pianse fino a non avere più niente da far uscire, che fossero lacrime, singhiozzi o dolore.

Si trascinò fuori dal letto con movimenti lenti, come se si trovasse sott'acqua. Un luccichio sulla scrivania attirò il suo sguardo vacuo. Vi si avvicinò, mettendo a fuoco gradualmente quell'oggetto lucido e illuminato dai raggi del sole che oltrepassavano gli spessi vetri piombati delle finestre. Un tagliacarte d'argento, dalla lama liscia e priva di decorazioni a differenza dell'impugnatura, che era tempestata di rubini. Regina rimase immobile ad osservare i riflessi cremisi delle pietre illuminate dal sole su quel metallo così lucido. Allungò la mano senza neanche accorgersene, la mente vuota, fredda, come quelle pietre. La lama levigata le restituì il suo riflesso distorto. La avvicinò alla pelle, e premette.

Un taglio, e poi un altro, e un altro ancora.

Il sangue scorreva dalle ferite, rivoli, rossi come i rubini che stringeva nel palmo, che uscivano dalla sua pelle e cadevano sul pavimento. Il dolore sembrava distante, come se non le appartenesse già più.

La vista iniziò ad offuscarsi, sentì la debolezza prendere possesso del suo corpo. Si accasciò lentamente a terra, mentre il rosso del suo sangue macchiava il pavimento di legno.

Gli occhi si chiusero piano.

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