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Emma si accasciò al suolo, ansimando. Le tremavano i muscoli, riusciva a malapena a respirare. Aveva dovuto tirare e spingere Regina per... non aveva idea per quanto tempo, ma era una salita verticale, e Regina non era abituata a faticare. Per quanto si fosse intestardita a rifiutare il suo aiuto per quasi tutta la salita, ad un certo punto le sue mani avevano iniziato a perdere la presa.
«Stai bene?»
Emma si voltò lentamente verso Regina mentre il vento freddo che soffiava lassù le sferzava il corpo fradicio di sudore. Le mancava il fiato. Era come se non ci fosse mai abbastanza aria, lì. Anche Regina sembrava affannata, e non solo per la scalata.
Emma annuì e il volto corrucciato della principessa si rilassò leggermente. Non l'aveva mai vista così, scarmigliata, sudata... fuori contesto. Era ancora più bella.
Emma sbatté le palpebre, cercando di costringere i muscoli a collaborare. Le tremavano ancora braccia e gambe, ma il resto sembrava essersi ripreso, un po'. Si voltò su un fianco e sondò i dintorni con lo sguardo. Le ondeggiava la vista, gemette cercando aria.
«Tu... riesci a respirare?» chiese a Regina. Lanciandole un'occhiata, la vide poggiare entrambe le mani a terra per riuscire a tirarsi in ginocchio.
«Non proprio. Mi gira la testa.»
Emma deglutì, la nausea le occludeva la gola.
«Fossimo fatti per... il cielo, avremmo le ali» borbottò. Sentì lo sguardo di Regina su di sé e, voltandosi a guardarla, notò il sorrisetto sulle sue labbra.
«Sarebbe bello.»
Le sorrise e si accovacciò, cercando gradualmente di rialzarsi. Erano circondate da una fitta foresta, creata dagli steli contorti e del verde acceso dell'enorme fusto che avevano appena scalato. Alzò lo sguardo... e lo riabbassò all'istante, presa dalle vertigini. Quegli strani alberi parevano infiniti. Si insinuavano in volute verdi tra le nuvole di un bianco cristallino e accecante.
«Dovremmo... credo che dovremmo continuare» disse, gli occhi ancora chiusi. Poco dopo percepì qualcosa, un cambiamento attorno a sé, e li riaprì. Fu sorpresa di ritrovarsi davanti Regina che, in piedi, le tendeva la mano. La afferrò e si alzò. Il capogiro fu lieve. Forse stava iniziando ad abituarsi.
Guardò Regina negli occhi, trattenendola quando cercò di avanzare.
«Resta dietro di me» le disse, oltrepassandola. Le gambe erano ancora intorpidite, e le sembrava di camminare usando ciocchi di legno al posto dei piedi.
«Da quando dai tu gli ordini?»
Sentì un sorriso affondarle nelle guance.
«Era un'umile richiesta.»
Regina rise, a voce bassa, una prudenza che Emma accolse con piacere.
Proseguirono in silenzio per un po', avanzando attraverso quei fusti lisci e chiari come virgulti. Di tanto in tanto dovevano scostare foglie grandi come vele, o chinarsi per passare sotto viticci ritorti.
Regina sbuffò di colpo.
«Quello stregone ci ha ingannate! Ci metteremo anni a trovare quello stupido fagiolo qui! Questa foresta è infinita!»
Emma si voltò a guardarla, la fronte aggrottata. Divertita da quello sfogo, dalla sua impazienza.
«Basterà trovare un baccello.»
Regina la guardò storto, alimentando, suo malgrado, il suo buonumore.
«Spiegati.»
Emma indicò con una mano la foresta.
«Siamo circondate da piante giganti di fagiolo. Troveremo un baccello, prima o poi.»
L'espressione di Regina mutò di colpo e drasticamente, Emma sorrise tra sé riprendendo il cammino, scostando la punta di una foglia per lei. «Non hai mai messo piede nell'orticello di Ruby» chiosò.
Passandole accanto, Regina la fulminò con lo sguardo.
«Ci mancava solo quello, così mia madre ti avrebbe seppellita lì al posto mio.»
Emma ridacchiò e la superò di nuovo. Poi si bloccò di colpo, allungando una mano per fermare anche Regina.
«Guarda» sussurrò.

Regina aguzzò la vista, strizzando gli occhi per guardare oltre la foresta. E lo vide. Un castello, enorme e rossastro, che si innalzava per miglia e miglia. Tra gli steli verdi intravedeva il portone, alto tre volte la sua magione, di un legno scuro e ruvido.
«Credi che...?» mormorò Emma. Le aveva preso la mano, forse senza neanche accorgersene, e ora la stava stringendo. Forte. Regina spostò gli occhi su di lei. Era spaventata.
«E dove altro potrebbe essere?»
Emma annuì lentamente, deglutendo.
«Ho sentito parlare dei giganti, giù al mercato» sussurrò. Il vento le spazzò via i capelli umidi dal viso. «Dicono che siano spietati. Che mangino le persone come antipasto. Che le prendano e le spezzino in due come chele di granchio.»
Regina sbuffò.
«Sciocchezze.» Emma la guardò con tanto d'occhi, e a lei venne da sorridere. «I giganti non esistono più, Emma. Sono stati sterminati durante la guerra.»
Emma, però, non sembrò credere alle sue parole, e storse la bocca.
«Sarà. Ma quella porta è aperta, e nessun umano riuscirebbe a spostare quel battente.»
Regina riportò di scatto lo sguardo sulla porta, strizzando le palpebre. Emma doveva vederci meglio di lei, e sicuramente era colpa di quegli inutili libri che Blue e sua madre la costringevano ad imparare a memoria, perché si accorse solo in quel momento che, in effetti, uno dei battenti era socchiuso. Sentì un brivido percorrerle la schiena, ma si ripeté ciò che sapeva dalla storia scritta. Tutti i giganti erano morti. Tutti quanti.
«Con tutto questo vento, l'avrà aperta la corrente. Andiamo.» E prese a camminare risoluta verso il mastodontico castello.

Si fermarono appena superata la soglia, infreddolite. Lì dentro non tirava un filo d'aria, e il tepore che scaldò subito la loro pelle gelata dal vento le distrasse, per qualche istante. Poi Emma diede di gomito a Regina.
«La corrente, eh?» Sibilò, indicando con un cenno del mento il gigantesco camino acceso. Regina si strinse nelle spalle.
«Era un'ipotesi plausibile» si difese. Emma strinse le labbra con un sospiro lieve.
«Resta dietro di me» disse. E poi, notando il suo sguardo: «Ti prego.»
Regina si rabbonì. Almeno poteva guardarle le spalle mentre esploravano quell'ambiente assurdamente enorme, e apparentemente vuoto. Avanzarono rasenti ai muri, cercando di fare meno rumore possibile. L'atrio lasciò il posto ad un corridoio (evitarono, per il momento, le scale: i gradini erano così alti che sarebbero dovute salire l'una sulle spalle dell'altra per arrivare al bordo), sul quale si aprivano una serie di porte chiuse. Impossibili da aprire, per loro. Ma l'ultima, in fondo a destra, era aperta, e una luce calda bagnava il pavimento di legno del corridoio. E un vociare confuso giungeva fino a loro.
Si scambiarono uno sguardo allarmato, poi ripresero a camminare, più silenziose che mai, attente ad ogni passo su quei listelli levigati, larghi come galeoni.
Erano ormai vicine alla porta quando le voci si fecero più nitide, e permisero loro di distinguere le parole.
«Ultima possibilità, Anton. Dov'è?» Domandò una voce maschile, decisa. Aveva un che di familiare, ma Regina non riusciva a capire chi le ricordasse. Ed era fredda. Mortalmente fredda. Rabbrividì.
«Non...» L'altro uomo gemette. «Non te lo dirò mai.»
Una pausa. Emma, davanti a lei, esitò, fermandosi ad un passo dalla porta.
«Vorrà dire che me lo troverò da solo.»
Poi l'orrendo rumore di una lama che trancia la carne, e un grido strozzato. E un tonfo che fece tremare il pavimento.
Qualcuno, nella sala, borbottò qualcosa.
E i suoi passi si avvicinarono.
Rapidi, pesanti.
Pericolosi.
Emma la fece indietreggiare, ma si resero conto entrambe, in un attimo, che scappare, così come nascondersi, era impossibile. Quel corridoio era lungo e largo quanto due strade maestre. Non restava che affrontare chiunque stesse arrivando.
Lei e Emma si scambiarono uno sguardo, poi si piazzarono lì, a qualche passo di distanza dalla porta. Emma aveva le gambe leggermente divaricate e i pugni alzati. Regina la imitò, anche se non avrebbe saputo come prendere a pugni il nemico, poi. E dubitava che anche Emma lo sapesse.
Piantò lo sguardo sulla porta aperta, pronta, il cuore in gola per la paura. Chiunque fosse, aveva appena ucciso qualcuno.
Si aspettava un assassino, un mercenario, forse. Un tagliagole.
Di certo, non si aspettava di vedere suo marito.

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