48. Brividi bollenti

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Il sonno è un amico pessimo. Definirlo come tale potrebbe risultare insensato a primo impatto, ma posso assicurare che questa è la sua descrizione legittima. Il sonno è un amico, il sonno ti rigenera, ti anima di nuovo per poi esaurirsi alla fine della giornata per venirtene a chiedere ancora un po'. Ti dona qualcosa per riceverlo in cambio. Ma il sonno è anche orribile, subdolo. Sopratutto quando pretende troppo e assorbe tutta la tua linfa vitale per lasciarti inerme e steso, come il gambo secco di un fiore morto sul terriccio.

Esattamente come sono io adesso.

Mi rigiro tra le coperte da quella che mi sembra una vita troppo lunga per essere realmente vissuta. Avevo fatto abituare i polsi e le caviglie a quei movimenti silenziosi molto velocemente, esattamente quando mi sono resa conto che questa sarebbe stata una notte decisamente straziante e lunga. Disumanamente lunga. Sapevo che la mia testa avrebbe continuato quella sinfonia tesa di dubbi e domande sul mio passato. Però ero convinta che essa sarebbe perita nel sonno. Pensavo sul serio che, come tutte le altre cose, anche quelle parole implacabili si sarebbero fermate per qualche ora.

Il problema è sorto a quel punto. Quelle frasi hanno continuato a rimbombarmi nel cervello. Non solo; passato del tempo, esse hanno avuto anche l'audacia di sfibrare tutto il mio sonno, lasciandomi semplicemente stesa a pancia all'aria, con gli occhi spenti rivolti al soffitto. Sono rimasta a fissarlo così tanto che credo di aver avuto un tremendo giramento di testa ad un certo punto, ma ero talmente concentrata da non essermene neanche accorta.

Più che focalizzata su un punto preciso tuttavia, la mia testa era persa nel nulla. Stavo pensando ad una quantità tale di cose che alla fine ho finito per non farlo più, di punto in bianco. Sono finita in un corpo vuoto, senza anima, senza battito. La mia mente ha preferito ripararsi da quell'enorme marea di parole, rifugiandosi in un posto che non ho ancora scoperto. Non so dove sia finita, ma stranamente non m'importa.

Il mio intero essere è pieno di Jungkook. Non faccio altro che pensare al suo viso, al modo in cui i suoi occhi si sono abbassati quando quel pazzo ha pronunciato in modo quasi impercettibile i nomi dei miei genitori. Due nomi che, ancora adesso, faccio una fatica immane a riconoscere. Non so dirmi chi siano quelle persone, non le conosco davvero come vogliono farmi credere.

Ma vogliono chi? Forse delle voci che odo e che mi portano sulla cattiva strada, quella di cui fino ad adesso avevo visto solo l'entrata. Cosa mi aveva fatto varcare la soglia di quella porta sconosciuta? Ah, giusto. Jungkook.

Che cosa vuole lui da me? Inizialmente credevo gli fregasse solo dei soldi e di farmi fuori con qualsiasi mezzo possibile. Eppure, nell'ultimo periodo, nei suoi occhi ci ho sempre visto qualcosa di diverso. In qualunque situazione, anche le più brutte, Jungkook ha avuto la capacità di creare in me alcune emozioni che non avevo mai provato prima. E... perché?

Beh... perché gliel'avevo lasciato fare, è semplice. Maledetta me. Stupida, incoerente, debole me. Pensavo di essere diventata la persona più furba del mondo, senza sapere che Jungkook è sempre stato un gradino sopra al mio. Aveva avuto l'abilità per nascondermelo, giusto per accoltellarmi alle spalle e girare poi il coltello nella piaga. Lui era sempre riuscito a prendermi dal verso giusto, a esercitare su di me un fascino a cui non ho saputo resistere sin dal primo istante.

Benché il bene sia primordialmente il prediletto, il male è sempre pronto per farci cambiare idea.

Jungkook, per me, è il male incarnato in un corpo umano. Era bastato uno sguardo, un solo sguardo in quella stazione di benzina, per far cambiare il lecito ciclo delle cose. Ero stata infettata da lui, spinta sino al limite della sopportazione, arrivata fino a questo punto dove il ritorno è solamente una stazione lontanissima, non più raggiungibile. Non più considerabile come tale per una come me.

PINK GASOLINE ✓ [Jeon Jungkook]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora