la prima volta

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E cominciò così la prima riabilitazione di Simon.

Dovette tenere chiuso il negozio per una settimana, a causa dei forti dolori causati dai primi giorni di astinenza. Emma chiese alcuni permessi dal lavoro, inventandosi alcune scuse riguardanti i suoi genitori malati da seguire in Nord Italia, per poter essere sempre presente e aiutare Simon in qualsiasi ora del giorno. La vista di una persona in astinenza, a rota, o come si voglia chiamare, era qualcosa di indescrivibile. Anzi, meglio, poteva essere descritto, ma non poteva essere capito senza averlo prima vissuto.

Simon aveva passato quattro giorni completamente a letto. Sudava come se fosse stato sotto il sole cocente estivo, il corpo era ricoperto da graffi profondi e feroci. Urlava, poi riprendeva sonno, poi piangeva, poi stava zitto fermo immobile. Avevano ricevuto tante lamentele dai vicini che avevano addirittura minacciato di chiamare le forze dell'ordine. Ovviamente Emma non poteva dire cosa c'era dietro a quelle urla assordanti, ma cercò in tutti i modi di far mettere una pietra sopra ai suoi condomini su quelle grida. C'era sempre una bacinella ai piedi del letto pronta per il forte senso di nausea che avvolgeva costantemente Simon durante il giorno e la notte. Emma non poteva più dormire con lui nello stesso letto, a parte per gli spasmi incontrollabili del ragazzo, si sentiva ancora sporca alla vista del moro in quello stato. Per quattro giorni dormì probabilmente il giusto che le serviva per sopravvivere, nel divano, sempre con un orecchio pronto a captare qualsiasi lamento o rumore sospetto dalla camera da letto. Lo aveva aiutato a lavarsi ogni giorno, era come prendersi cura di un vecchio pazzo.

Ad Emma, tutto questo, non pesava. Aiutarlo ad affrontare una cosa così difficile non le pesava. Ma in alcuni momenti pensava di star impazzendo più del ragazzo: i momenti più drastici che avevano spaventato terribilmente Emma erano state le allucinazioni che tormentavano Simon durante la notte. Non fu mai in grado di capire cosa vedeva e sentiva Simon in quei momenti. Il ragazzo si svegliava, durante quei rari momenti in cui per davvero riusciva a dormire, con gli occhi spalancati gradualmente da leggeri lamenti si trovava a urlare contro qualsiasi cosa vedesse sul muro di fronte a lui. Si raggomitolava su sé stesso e mai Emma lo aveva visto così intimorito, senza protezioni. Cercava di scappare, ma non poteva scendere da letto: quello era l'unica zona di protezione mentre aveva queste allucinazioni, almeno questo capiva Emma. E lì, non sapeva mai cosa fare. Lo lasciava fare, lo osservava dalla porta leggermente socchiusa e piangeva sommessa.

Dopo la forte crisi fisica iniziale, cominciò la vera battaglia: quella mentale. Per quella Simon non si era preparato, ma almeno non era da solo come tutte le altre volte che aveva provato a smettere per davvero. Solitamente, dopo una settimana già si trovava a strisciare da Iggy, a implorare una dose, solo una "per non smettere di colpo e di abituarmi piano piano", così si diceva da solo per convincersi. Inutile dire che dopo la prima dose Simon ricominciava a cadere nel suo circolo vizioso, a farsi un quartino la mattina per stare bene e un quartino la sera prima di andare a dormire. E guai a saltare una delle due, altrimenti il prurito e il malessere ricominciavano e lui non voleva più stare male.

Sinceramente, non si ricordava nemmeno lui di preciso quando aveva iniziato a bucarsi. Si ricordava solo che era una serata estiva, era con Iggy nel privè di un locale che erano soliti frequentare. Simon aveva già visto vecchie sue conoscenze bucarsi lì dentro, ed era già parecchie volte che chiedeva alle persone che lo facevano cosa si provava. Simon era relativamente una delle persone più sane lì dentro: la marijuana non la considerava nemmeno droga, ogni tanto gli scappava una spada di coca, ma niente di più. Non gli piaceva nemmeno tanto e sapeva controllarsi. Ma sapeva che con l'eroina era diverso. Vedeva le persona che si bucavano, prima e dopo farlo, com'era e come diventavano. Ogni sera quando tornava a casa da quel privè si domandava; "cosa vuoi che mi faccia una sola pera?", ma poi cercava di convincersi che sì, una sola pera poteva rovinarli la vita. Ma Simon ormai non aveva più nessuno al suo fianco. Nessuno con cui parlare di questi dubbi, nessuno che potesse dirli "ma che cazzo stai pensando?". Simon ormai aveva perso tutti. E da quando la sua famiglia era tragicamente scomparsa, non aveva più nessun motivo per restare sano. Questo, si diceva. Non riusciva più a stare bene, da solo. Senza sua madre che lo redarguiva per tutte le sigarette che fumava durante il giorno, senza suo padre che si faceva tatuare da lui appena gli veniva una piccolissima idea, senza sua sorella e suo fratello minori che lo tormentavano tutto il giorno. Pensava che con la droga sarebbe stato in grado di stare bene, di nuovo. Dopo tutti quegli anni passati a non sentire più niente.

Purtroppo, qualcuno avrebbe dovuto dirglielo, che una ragazza con i capelli a caschetto, in sella a una vecchia bici rubata, sarebbe arrivata a farli riscoprire tante belle cose della vita. Lei era piena di speranza e di voglia di vivere, così piena che darne un po' a quel povero fantasma non le sarebbe costato niente. Simon quando si faceva, pensava di farsi del bene. Ma non sapeva che in quei momenti, mentre pensava di sentire finalmente del calore, dell'affetto, altro non sentiva che buio.



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Si continua a parlare del passato, c'è un motivo ben preciso, per capire meglio i capitoli successivi.

I prossimi capitoli saranno davvero importanti per entrambi i personaggi e ci sono affezionata in una maniera smisurata, spero che vi piaceranno come sono piaciuti a me!

Ars Gratia ArtisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora