epilogo, per sempre

16 0 0
                                    


per sempre

Camminava con un mazzo di fiori dai mille colori diversi in mano, facendo attenzione a non rovinare un singolo petalo, mentre percorreva il piccolo usuale sentiero, come ogni giorno da un paio di mesi. Teneva stretta la mano del piccolo Gabriele, che camminava dinoccolato seguendo i suoi passi, goffo. La pelle ancora bruciava e le budella si tormentavano, ma si imponeva di camminare ancora, per loro. Quando arrivò, tolse i vecchi fiori leggermente rovinati dal vaso per poi rimpiazzarli con quelli del nuovo mazzo, sistemandoli accuratamente all'interno e dandoli poi un po' d'acqua, sempre con l'aiuto del piccolo. Controllò anche i fiori vicini, per essere sicura che tutti fossero perfetti, prima di sedersi a terra con Gabriele in braccio. Estrasse un vecchio libro e un piccolo giocattolo dalla borsa che era a terra al loro fianco, e cominciò a leggere.

Simon morì per overdose, dopo due anni la nascita di Gabriele.

Simon, ancora una volta, era stato egoista. Ancora una volta, tutto ciò che proveniva dal suo passato e che aveva rinchiuso dentro di sé, era tornato fuori. Lo aveva divorato vivo, lasciandolo senza alcun mezzo per migliorare, per cambiare. Questa volta però, era stato bravo. Non si era fatto scoprire da Emma la prima volta che si bucava di nuovo, non si era fatto scoprire mentre scioglieva la dose quando lei lo chiamò nel panico per dirli che le si erano rotte le acque e non si era fatto scoprire quando portava Iggy a casa. Era stato troppo bravo.

Emma, ancora una volta, era stata stupida. Non si accorse dei cambiamenti di Simon, dei buchi che tornavano sulle braccia prepotenti, dei pianti di lui la notte nel portico. Non capiva che non c'era nessun cliente dell'ultimo minuto, che non c'era nessuna cena fuori con gli amici, non c'era assolutamente niente. Era solo il vecchio tossico bugiardo Simon, il padre di suo figlio, che faceva capolino nella loro vita. Troppo stupida, innamorata e fiduciosa della vita; questo era Emma.

Ma dopo aver trovato il corpo di Simon, nella loro camera, non fu più così tanto fiduciosa.

Entrò in casa con Gabriele in braccio mentre cercava di bilanciarsi tenendo in mano due borse piene della spesa. Era stata via molto più del previsto, un paio d'ore almeno ed era ormai ora di cena. Solitamente Simon avrebbe già cominciato a preparare da mangiare, ma un silenzio assordante riempiva la casa. Emma entrò chiamandolo, poggiando alla rinfusa le chiavi sul bancone della cucina e le buste della spesa sul tavolo.

"Dov'è papà?" chiese a Gabriele "Ora te lo trovo" disse, strofinando i loro nasi insieme delicatamente, prima di metterlo sul tavolo a colorare qualche disegno.

"Simon, siamo a casa!" chiamava mentre saliva le scale verso il piano superiore. Ancora felice, ancora fiduciosa. Prima di entrare in quella stanza, Emma era un'altra persona. Non sarebbe mai tornata indietro, per quanto ci avrebbe provato, per quanto Gabriele avrebbe potuto aiutarla ad andare avanti. Il suo cuore, non era più suo. Il suo cuore era di Simon.

E il suo cuore era steso a letto, con le gambe a penzoloni dal bordo. Il suo cuore aveva smesso di battere, per sempre.

"Simon, forza, dobbiamo preparare la cena!" disse entrando in camera. Mentre apriva la porta chiusa, entrò allungando il braccio verso lo stipite della porta per appoggiarsi. E non capiva, davvero non capiva perché Simon non rispondeva. Non capiva perché fosse così immobile, mentre si avvicinava con gli occhi pieni di lacrime. Non capiva perché ci fosse una siringa sul loro letto. Non capiva perché Simon avesse gli occhi fissi sul soffitto. Non sentiva Gabriele urlare dalla cucina, perché le sue urla erano molto più forti. Accasciata contro di lui, lo abbracciava per l'ultima volta, sfregiata dalle lacrime. Ma lui non poteva abbracciarla forte come faceva sempre. Non poteva in quel momento, e mai avrebbe più potuto.

Il funerale venne celebrato una settimana dopo. Il medico aveva perso tempo nel certificare la causa del decesso, come se ce ne fosse bisogno. Emma ancora non riusciva a guardare in faccia suo figlio, troppo simile con i suoi capelli ricci e occhi neri al suo papà. Le faceva male fisicamente starli vicino. Lo aveva lasciato dai nonni, mentre lei cercava di capire cosa fosse andato storto.

Il primo mese che passò dopo la morte di Simon, Emma si era ormai addossata tutta la colpa addosso. Non c'era altra spiegazione evidente. Erano felici per davvero. Vivevano nella casa di Simon, che era riuscito a dormire nella stanza matrimoniale dei suoi genitori, per lasciare la sua stanza più piccola al nuovo arrivato, che lui in primis aveva voluto così tanto. Stavano anche progettando un bel matrimonio, intimo. Forse, se fosse entrata un paio d'ore prima lo avrebbe potuto salvare. Sembravano essere guariti da vecchi vizi e problemi, sembravano stare bene. Allora perché? Perché ricominciare? Ciò che stava divorando Emma viva, era il non sapere. Dopo il primo mese, Emma pensò addirittura che fosse colpa di Gabriele. Pensava che in realtà Simon non lo volesse veramente, che fosse solo un incidente di percorso. Era arrivata a ripudiarlo. Dopo un mese e mezzo riuscì a farlo tornare a casa, aiutata soprattutto dai suoi genitori che cercavano di farle vedere la triste e cruda realtà.

Non era colpa di nessuno, se non di Simon.

Dopo due mesi dalla sua morte, ecco Emma seduta davanti le tombe di Simon e della sua famiglia, con in braccio loro figlio, a provare a leggere un libro, come ogni giorno. E come ogni giorno, leggere era inutile e si ritrovava a piangere senza freni. Solo Gabriele riusciva a farla smettere, passandole i piccoli pollici sulle guance, dicendo "non piangere mamma, papà torna". Lei si tormentava la notte per tutti i problemi che il suo piccolo aveva già dovuto affrontare a soli due anni di vita. E di nuovo, tutto sembrava solo per colpa sua.

Le giornate trascorrevano veloci, perché occupate dal lavoro incessante che Emma si sobbarcava per non pensare. Quando usciva da lavoro, sommersa da libri e documenti, andava a prendere Gabriele al nido, una volta a casa cercavano di trascorrere del tempo insieme, prima che la mamma si rimettesse a lavorare. Arrivava ora di cena, Emma preparava qualcosa di veloce e se ne stavano insieme sul divano, fino all'ora di andare a dormire. Caricava così Gabriele di sopra, senza guardare la stanza vuota in fondo al corridoio, e lo metteva a letto. Lei tornava al piano di sotto, dove di solito prendeva sonno sul divano in mezzo al lavoro. Dormiva qualche ora, e poi si ripartiva da capo.

Quando il martedì aveva il giorno libero da lavoro e Gabriele era all'asilo, passava le sue giornate al cimitero. Osservava la foto intagliata nella tomba, la accarezzava, piangeva, leggeva. La sua vita sembrava essere entrata in stand – by.

L'unica certezza nella sua vita restava suo figlio, dopo che Simon l'aveva tradita fino in fondo, fino all'ultimo respiro. Certe notti si svegliava, sognando il suo viso e altro non poteva provare se non odio. Ma dopo alcuni momenti in cui si sentiva ardere come legna nel fuoco, tornava la tristezza, l'amarezza, la delusione. Tornavano i sensi di colpa.

Non c'era più niente di certo per Emma. Se non, forse, il grande amore per il suo Simon.

Ars Gratia ArtisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora