la mia famiglia

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I primi calori primaverili si stavano facendo strada a inizio marzo, cullando le giornate sempre movimentate dei due giovani. Stranamente, sembrava andare tutto discretamente, per alcune settimane consecutive: la terapia di Emma riusciva a regalarle giornate serene, e Simon era molto soddisfatto con il proprio lavoro. Inoltre, entrambi durante i due anni di conoscenza erano riusciti a mettere da parte qualche risparmio – nessuno dei due aveva le mani bucate, anzi – e Simon cominciava a stancarsi di quell'appartamento. Non aveva ancora parlato con Emma di volersi trasferire. Sinceramente, era molto spaventato dall'idea: a malapena i due erano in grado di dichiarare i sentimenti che provavano l'uno nei confronti dell'altra, non sapeva come avrebbe potuto chiederle anche di cambiare casa. Certo, loro già vivevano insieme da ben due anni, ma questo sembrava diverso. Aveva deciso di farsi coraggio e di spiegarle tutto il giorno del suo compleanno. Era già organizzata tutta la giornata: aveva deciso di chiudere il negozio e sapeva che Emma il martedì aveva il giorno libero. Decise quindi di portare la ragazza in centro città e di trascorrere un pranzo tranquillo nel loro ristorante preferito, e di fare due passi per Firenze durante il pomeriggio. Nonostante vivessero proprio in quella città, le loro giornate erano troppo frenetiche per poter ammirare la bellezza di quel luogo. E per Emma sembrava sempre come se fosse la prima volta che metteva piede in piazza, di fronte alla maestosa cupola del Brunelleschi, o che percorreva gli affollati corridoi degli Uffizi, tanto era l'amore che curava per quella città piena di storia, di arte, di conoscenza. Poteva sembrare una giornata monotona ma per loro era esattamente tutto quello di cui avevano bisogno. E così, finita la loro passeggiata pomeridiana Simon condusse la ragazza in macchina, sempre parcheggiata davanti al negozio. Salirono ed Emma non aveva assolutamente nessuna idea di dove Simon la stesse portando. Uscirono di giusto dieci o forse quindici minuti dal centro, per nulla lontani dal loro appartamento, quando Simon parcheggiò davanti una casa modesta, con un piccolo giardino frontale che si vedeva protrarsi anche dietro.

"Cosa ci facciamo qui?" esordì curiosa la ragazza che osservava tutt'intorno.

"Vieni dentro" disse solamente lui, aprendo la portella della macchina e scendendo. Dietro di sé, Emma era completamente spiazzata.

"Simon, abbiamo già sfigurato una casa, dobbiamo sfigurarne un'altra?" domandò, un po' scherzando ma senza celare realmente la sua perplessità. Nonostante tutto, scese dalla macchina e si affiancò a Simon che, sorridendo un po' nervosamente la stava aspettando davanti al cancello, già aperto. Sempre più dubbiosa e al tempo stesso curiosa, seguiva Simon tempestandolo di domande mentre si guardava attorno, camminando lungo il piccolo sentiero che portava all'ingresso. Una volta davanti alla porta il ragazzo estrasse dalle tasche un mazzo di chiavi che la ragazza mai aveva visto prima di allora. Aprì la porta e davanti a loro si trovava un salotto abbastanza grande, perfettamente arredato ma tutto avvolto da pesanti teli di plastica polverosi. Emma entrò subito dopo Simon, guardandosi intorno stranita e respirando la gravosa aria viziata; quel luogo non veniva aperto da tempo. Uno strano silenzio regnava tra i due, mentre Simon appena aveva varcato la soglia se ne stava accanto alla porta, con le mani in tasca ad osservare l'ampia stanza, con uno sguardo sperduto e pensieroso. Emma lo notò dopo poco, mentre percorreva il salotto e la cucina, insieme in una grande stanza. In centro alla stanza, vicino al divano si voltò verso il moro.

"Che succede?" domandò notando il suo sguardo spaventato, "dove mi hai portata?" continuò curiosa, sentendosi camminare sulle spine. Il ragazzo era chiaramente a disagio ma era stato lui a portarla, doveva essere il contrario.

Simon teneva le braccia lungo i fianchi, quasi sembrava un automa. Uno sguardo indecifrabile, a metà tra il perso e lo spaventato sul volto. Respirava lentamente a pieni polmoni, mentre cominciava a giocare con le proprie mani. Sembrava un bambino che doveva raccontare qualcosa ai genitori di brutto, scoperto a fare una marachella. Dopo alcuni respiri profondi, cercando di mantenere la calma, si fece coraggio e riuscì a parlare, a spiegare.

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