i primi giorni, 2

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Simon ancora al piano superiore si era spostato nel giardino davanti, sotto il piccolo portico a fumarsi una sigaretta prima di provare a fare le scale per andare a dormire. Seduto su una grande sedia a dondolo in vimini che avevano comprato apposta, rifletteva. Sulla sua decisione, sulla sua famiglia, sul suo lavoro, su così tante cose che non riusciva a finire un pensiero che già ne partiva un altro, senza alcun nesso logico. Spense la sigaretta sul posacenere poggiato sul davanzale della finestra e rientrò in casa. Chiuse la porta dietro di sé e fece lo stesso con tutte le finestre, prima di cominciare a fare le scale. Sentiva di avere i piedi di piombo, sia dalla stanchezza che dall'agitazione di tornare a dormire in camera sua, dopo così tanti anni. Ma sapeva che non sarebbe stato solo ad affrontare il tutto. Infatti Emma se ne stava rannicchiata sotto le coperte: nonostante i primi calori quasi estivi Emma si ostinava a tenere il piumone – ovviamente molto più leggero di quello invernale – e solo il suo viso e i suoi capelli sparsi sul cuscino si potevano vedere. Era ormai profondamente addormentata, con il suo libro aperto sopra le coperte e la luce dal comodino ad illuminarle parzialmente il viso. Simon sorrise alla vista, prima di cambiarsi i pantaloni e restando senza maglietta. A differenza di Emma, moriva di caldo sotto quel piumone. Prese il libro e lo poggiò sul comodino sul lato affianco alla ragazza, e spense la luce della lampada, dopo cercò di infilarsi sotto le coperte il più lentamente e silenziosamente possibile per non svegliare Emma.

Passò qualche ora quando Emma si svegliò, presa da una sete fortissima. Si girò più volte nel letto prima di riprendere un po' di coscienza e si rese conto che il lato affianco a lei era ancora vuoto. Cercò di capire quindi se fosse ancora relativamente presto o se Simon stesse semplicemente finendo di guardare il film, ma erano ormai le quattro nel mattino. Si sedette con i piedi a toccare il pavimento freddo della camera e si alzò lentamente. Riconobbe uscendo dalla stanza i vestiti di Simon poggiati sopra la sedia e capì così che il ragazzo si era cambiato, ma non era restato a letto. Scese le scale pigramente, dopo aver controllato se fosse in bagno, e quando arrivò alla fine delle due rampe poté sentire il leggerissimo rumore della televisione, unica fonte di luce del soggiorno immerso nella completa oscurità. Simon però non era seduto sul divano, quindi Emma decise di cercarlo in cucina, ma non era nemmeno lì. Dire che cominciò a svegliarsi dall'ansia, sarebbe una vero e proprio eufemismo. Quasi staccò dai cardini la porta che dava sul retro per controllare che Simon non si fosse messo lì a fumare una sigaretta, ma non si trovava nemmeno lì, così corse sulla porta davanti e spalancò anche quella dopo aver cercato furiosamente nel buio le chiavi poggiate sul bancone giusto affianco della cucina.

Simon era lì fuori, a fumare tranquillamente la sua ennesima sigaretta, seduto sulla grande sedia in vimini, vestito com'era quando era andato a letto. Si era girato solo con metà busto, per guardarla. Emma era a dir poco perplessa quanto rasserenata: come aveva fatto a uscire dalla stanza senza le chiavi della porta?

"Cosa ci fai qui fuori, nudo?!" chiese invece, preoccupata che si ammalasse. Era solo fine aprile e le temperature non permettevano ancora di restare a petto nudo, fuori casa alle quattro di mattina. "E come cavolo sei uscito?"

"Prima di tutto" disse lui, lentamente e con gli occhi sottecchi, "non sono nudo. E secondo, non trovavo le chiavi e sono uscito dalla finestra" concluse ridacchiando, con un leggerissimo singhiozzo. Simon era decisamente ubriaco. Doveva aver bevuto qualcosa dopo essersi alzato, o prima di andare a letto. Emma sbuffò leggermente e cercò con le sue forze di alzare Simon dalla sedia per portarlo all'interno.

"Forza, torniamo dentro. Domani non riuscirai nemmeno ad andare a lavorare, sono sicura" disse Emma, facendo avanzare il ragazzo verso la porta. Si stava già segnando mentalmente di dover mandare un messaggio a qualsiasi appuntamento che avrebbe avuto Simon per il giorno seguente, per disdire.

"Ferie!" esultò il ragazzo alzando le braccia al cielo, con un sorriso a trentadue denti. Emma annuì leggermente, prima di chiudere la porta alle loro spalle. Simon brancolando nel buio colpì una sedia e la fece cadere a terra. Preoccupatissimo si girò di scatto e si piegò per scusarsi, ma nel farlo colpì la sedia affiancò, che cadde anch'essa. Ora allarmato, si precipitò sull'altra, la mise apposto e chiese ancora scusa.

"Credi che mi perdoneranno?" domandò verso il divano, evidentemente convinto di parlare con Emma. Lei rispose che "sì, certo, anzi stanno già meglio", prima di accendere una piccola luce per vedere meglio cosa avrebbe trovato in cucina.

"Uh, ma è giorno, devo andare a lavorare" disse Simon. Emma era ormai completamente incredula dalla stupidità del ragazzo. Non se lo ricordava così, Simon da ubriaco. Dopo averlo convinto di sedersi sul divano e rilassarsi, perché tanto a lavoro non ci sarebbe andato, Emma ispezionò la cucina. Una bottiglia di Jaegermeister, il loro amaro preferito, era stata svuotata quasi della sua prima metà. Accigliata, sistemò la bottiglia in un altro posto, prima di spostarne qualche altra. Riuscì dopo venti minuti buoni a fare le scale insieme a Simon e a sistemarlo nel loro letto. Almeno da ubriaco, forse, sarebbe rimasto a dormire. Prese una bacinella, in caso lui avesse bevuto davvero troppo e si mise subito a letto. Simon non voleva restare da solo e fece finta di mettersi a dormire. Bastarono una manciata di minuti per farlo addormentare profondamente. Emma restò con lui fino alle cinque circa e dopo essersi assicurata che non sarebbe morto in sua assenza, scese al piano di sotto, tenendo sempre ben in ascolto i rumori dal piano di sopra. 

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