Attacco

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Mi sedetti al tavolo con gli occhi di Nicholas puntati addosso, a squadrarmi come se fossi un alieno e non capisse il motivo di quell'apparizione. Alzai un sopracciglio aspettando che prendesse per primo la parola, ormai avvezzo ai suoi rimproveri.

-Quindi? Per quale motivo mi hai trascinato qui?- corrucciò lo sguardo, visibilmente provato dalla situazione ma incapace di tirarsene indietro a causa del legame di amicizia che ci legava. Presi posto di fronte alla sua sagoma, attorno a lui ombre di dubbio iniziarono a fare la loro apparizione.

-Perché sono confuso. Nicholas, io non so più cosa fare.- mi strofinai le palpebre, cercando di mantenere la calma.

-Justin, dimmi che non c'entra Olga.- alzai la testa, lo sguardo colpevole.

-Spiegami una cosa, perché non riesci mai a comportarti come si deve?- il nervosismo nel suo tono fu qualcosa che mai avevo sentito uscire fuori da lui, una persona generalmente solare e ottimista. Probabilmente non gli sarebbe affatto piaciuto l'epilogo della mattina appena trascorsa con Olga. Seppi per certo di meritare qualsiasi parola che mi avrebbe rivolto da lì a qualche minuto.

-Perché sono innamorato, completamente fottuto. Immagino che tu sia contento che lo abbia finalmente ammesso.- feci una pausa, pensai alle parole che avrei pronunciato negli attimi successivi. Mi odiavo per il modo in cui l'avevo trattata, se mi fossi aperto, se le avessi detto quanto in realtà le sue reazioni e le sue bugie mi ferivano, forse non sarei arrivato a tanto.

-Ma il vero problema è che lo sono di una ragazza che ha costantemente paura di me, lo capisci? Vorrei toccarla, abbracciarla, ma devo bloccarmi ogni volta per paura che possa allontanarsi. Fino ad ora è stato facile, ho cercato di aprirmi con lei, le ho mostrato che non sono così male. La baciavo e non si allontanava più, pensavo di aver fatto dei passi avanti eppure questa mattina è successo un disastro.- sentii le forze abbandonarmi, il mondo intorno a me allontanarsi come tutte le poche cose che ho amato nella mia vita. No, con Lei doveva funzionare. Avrebbe dovuto funzionare.

-Io l'ho spaventata. Ecco, credo di aver fatto questo. Non sono riuscito a capire che aveva bisogno dei suoi spazi. Anzi, onestamente non mi interessava dei suoi spazi. Sono stato egoista, abbastanza stupido da pensare che se l'avessi avuta con la forza lei, forse, avrebbe percepito la profondità del mio sentimento. Così l'ho messa alle strette, Nick. Io l'ho... diamine non riesco neanche a dirlo!- mi presi i capelli fra le mani, ormai prossimo ad una crisi isterica, molto simile agli attacchi di mania che erano soliti accompagnarmi negli anni da adolescente. Pensavo di aver superato quella fase, di non aver più bisogno di vedere psichiatri, eppure la mia reazione diceva il contrario. Lentamente la paura mi pervase, pensieri assurdi iniziarono a fare capolino nella mia mente. Immagini di Olga con un altro ragazzo, mentre fuggivano e si giuravano amore eterno mi stordirono. No, quella non era la verità. Avrei dovuto calmarmi, fermarmi a riflettere. Respirare. Sì, respirare. Da quanto tempo non lo facevo? Troppo tempo per capire che ormai ero già in iperventilazione, la vista ormai appannata e le orecchie che fischiavano. Intorno a me solo il vuoto, un colore grigiastro che mi avvolse con prepotenza, giudice e giustiziato uno di fronte all'altro. Non seppi più come respirare. Da lì in poi tutto divenne sfocato, come se vivessi in un sogno.

-Justin, respira. Non perdere il controllo, sei tu che hai il timone.- sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Mi concentrai sul suono di quella voce così familiare eppure estremamente lontana, così lontana da fare quasi male.

-Ricordi la frase di quel film che tanto ci piaceva? Quello che ci ha un po' scombussolato l'adolescenza. Come si chiamava? Ah, sì, "il rumore". Cosa diceva il capo del villaggio per controllare il suo rumore, Justin? Te lo ricordi?- cercai di aprire le labbra, ma nessun suono venne fuori. Nella mia mente la risposta fu però chiara, si trattava del cerchio. Cercai di muovere l'indice della mano destra, ormai in balia dell'onda grigia intorno a me. Disegnai un cerchio.

-Esatto, Justin, il cerchio. Ripetilo anche tu: "io sono il cerchio e il cerchio sono io". Ripetilo a mente, non rimanere paralizzato da questa ansia.- io sono il cerchio e il cerchio sono io, io sono il cerchio e il cerchio sono io, io sono il cerchio e il cerchio sono io, io sono il cerchio e il cerchio sono io. Annaspai in cerca d'aria, aprii di scatto gli occhi ritrovando i lineamenti preoccupati del mio migliore amico.

-Cosa mi è successo?- Ero stordito, disorientato.

-Hai avuto un attaccato di panico, poi se diventato quasi catatonico. Justin, credo che questa situazione ti stia sfuggendo di mano. Hai bisogno di riposare. Prenditi una pausa da tutto, okay? Al lavoro ti sostituirò io, a tuo padre diremo solo che hai delle questioni personali da risolvere. Stai a casa con lei, cerca di non bloccarti e, per favore, ti prego di non spaventarla. Non so cosa tu le abbia fatto, ma forse lei stai peggio di te in questo momento e se è questo il caso, ci vorranno molto più di un paio di scuse per riaverla indietro.- Mi sorrise come un fratello, anzi, quasi come un padre.

-Il conto per favore.- sospirai arrendendomi all'evidenza. 

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