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Di tutte le reazioni possibili che Ryan aveva preso in considerazione, quella che effettivamente ebbe Bryan alle sue accuse, lo lasciò frastornato: non si aspettava che il giovane iniziasse a piangere. Nell'ultimo anno si era costruito un'immagine di lui molto distante da quella che ne aveva avuto in precedenza, e la nuova versione di Bryan che risiedeva nella sua testa cozzava del tutto con quell'inaspettata manifestazione di fragilità.

In primo momento, pur di rimanere fermo nelle proprie convinzioni, Ryan cercò di interpretare le lacrime dell'altro come una sceneggiata, un tentativo di fare leva sulla sua sensibilità e porlo dalla parte del torto, facendo sì che ai suoi occhi passasse per vittima. Ma Bryan poi si asciugò il viso con le mani, rifuggendo dal suo sguardo, scusandosi con lui per avere pianto.

-Mi dispiace che hai ricordato- sussurrò, fissandosi i piedi, tenendo il capo chino.
-Perché?- gli chiese Ryan, stupito.
-Deve essere stato difficile per te convivere con la consapevolezza di quello che hai fatto, soprattutto perché non l'hai detto a nessuno...-
-L'ho detto allo psicologo che mi segue. Ho accettato che non ero in me, in quel momento... Anche se fa male sapere di avere fatto una cosa tanto orribile-
-Per colpa mia- mormorò Bryan, passandosi una mano sulla fronte, iniziando a percepire un principio di mal di testa.

Il vento si fece più irruento e il giovane socchiuse gli occhi, nella speranza che non si riempissero di sabbia. Pure Ryan iniziò ad averne abbastanza di quel clima, perciò riprese a vestirsi con l'intenzione di allontanarsi da lì, la mente piena delle ultime parole di Bryan che avevano contribuito a renderlo ancora più frastornato.

-Tu che c'entri?- gli chiese dopo un po', mentre attraversavano la strada e arrivavano a percorrere il marciapiede di fronte la banchina, lì dove sorgeva la villetta in cui Ryan viveva con i suoi compagni. Sapeva che se fosse rincasato con Bryan, come minimo a Claud sarebbe preso un infarto per lo stupore, e poi ci sarebbero state Stephany e l'infermiera a rendere la situazione troppo affollata per portare avanti la conversazione che aveva iniziato con Bryan, perciò, alla fine, Ryan entrò dentro un bar che si trovava poco prima delle mura che delimitavano casa sua, prendendo posto intorno a un tavolino all'interno del locale, per ripararsi dal caldo e dal vento.

Odiava l'aria condizionata, ma in quel caso nemmeno lui poté farne a meno e accolse con un sospiro di sollievo la freschezza che li trovarono all'interno del locale.

Bryan non aveva risposto alla sua domanda e il giovane iniziò a comprendere che forse lo aveva confuso nell'accusarlo tanto aspramente di qualcosa, ma poi togliendogli di dosso parte delle responsabilità che lo avevano spinto a comportarsi da mostro.

La differenza tra le due cose era ciò su cui il suo psicologo batteva ancora a ogni loro incontro, cercando di fare capire a Ryan che comportarsi da mostro in un momento di pericolo e paura, di non lucidità, era diverso da essere un mostro. Anche per la legge Ryan non aveva commesso un crimine perseguibile e ciò stava aiutando il giovane ad accettare ciò che aveva fatto, anche se non aveva ancora avuto il coraggio di dire ai suoi compagni di avere riacquisto memoria dell'accaduto; soffriva ancora per quei ricordi che avrebbero preferito non riconquistare.

-Perché dici che non ho colpa? Se ti avessi aiutato, anziché disperarmi, forse tu... non avresti avuto quel crollo psicotico e non avresti...- mormorò Bryan, raschiando con un'unghia il bordo del tavolino di metallo, ma in quel momento sopraggiunse una cameriera, chiedendo loro se gradivano consumare qualcosa. Ryan ordinò per entrambi del tè freddo, anche se era ormai ora di pranzo, ma avrebbe scommesso con la certezza di vincere che Bryan, proprio come lui, non avesse granché appetito, in quel momento.

-Ucciso mio padre?- sussurrò Ryan senza mezzi termini e l'altro sussultò come se fosse stato colpito in pieno da un ceffone. -Non ero in me. Stavo male e sinceramente non mi va di parlarne con te. Rozaf era un mostro. Avrei preferito che patisse l'Inferno in prigione, anche solo per vederlo disperarsi come avevo fatto io per anni sotto le sue mani prima e sotto quelle di mio fratello dopo. Sono morti tutti, non mi dispiace neanche un po'. Forse sono davvero una cattiva persona, come hai detto tu, allora?- chiese con fare retorico, ma Bryan scosse la testa e lo interruppe.

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