Capitolo III

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Quando arrivai alla mia nuova casa, trovai il proprietario che mi aspettava davanti alla porta d'ingresso. Mi consegnò le chiavi e mi spiegò alcune cose, poi se ne andò. La casa era molto carina, né troppo grande né troppo piccola, e ad occhio e croce aveva almeno trent'anni. Era a due piani: al piano terra c'erano un salotto, un piccolo bagno e la cucina, mentre di sopra c'erano due camere e un bagno più grande. Portai le valigie in camera e iniziai a disfarle. La camera era molto carina, con un letto a due piazze, una scrivania ed un armadio. C'era anche una finestra che dava sulla strada, dalla quale entrava qualche raggio di sole, che filtrava dalle nuvole grigie.
Dopo aver disfatto la valigia con dentro i miei vestiti e averli messi nell'armadio, crollai stanca sul letto nonostante fossero ancora le quattro del pomeriggio, complici il fuso orario e le emozioni che avevo provato.
Mi risvegliai la mattina seguente alle 9. Nonostante fossi ancora un po' stanca, feci colazione con una merendina che trovai nello zaino, ringraziando il cielo di non averla mangiata durante il viaggio, dato che in casa non c'era niente da mangiare, e decisi di esplorare Forks. Mi preparai e, armata di ombrello per le nuvole nere che coprivano il cielo, uscii a visitare la cittadina. Dopo una decina di minuti in giro per le strade, vidi un ospedale. Era quello che pensavo? Presi una decisione folle, ovvero cercare Carlisle in quell'ospedale. Ero matta, decisamente. Perché diavolo stavo entrando in un ospedale a cercare un ragazzo che ho conosciuto su un aereo? In fondo... chi era lui per me? Non lo capivo, ma volevo fare chiarezza su tutto quello che mi stava succedendo. Feci un respiro profondo ed entrai nell'ospedale, tentando di reprimere le farfalle che si agitavano nel mio stomaco. Non mi erano mai piaciuti gli ospedali, ma improvvisamente lo dimenticai quando davanti a me lo vidi... Mi dava le spalle, ma riconoscevo i capelli biondi e la pelle pallida. Indossava un camice, quindi era lui per forza. Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata mentre mi avvicinavo lentamente. Poi si voltò. Mi arrestai bruscamente, colta del tutto impreparata. Mi sorrise, per poi cambiare espressione.

"Ciao, cosa ci fai qui? Non stai bene?", mi chiese preoccupato.

"N-no, cioè sto bene, grazie... è che essendo arrivata solo ieri sono rimasta a casa a sistemare le mie cose, quindi oggi ho deciso di esplorare un po' la città, quando poi mi sono ricordata che lavoravi qui..." Incespicai un po' nelle parole, rendendo il mio imbarazzo così grande da fare invidia a Godzilla. In compenso, vidi che Carlisle si rilassò un poco, sentendo che stavo bene. Sorrise di nuovo, mandandomi ancora di più, se possibile, fuori di testa.

"Mi fa piacere che tu stia bene, e anche il fatto che ti sia ricordata che lavoro qui...", rispose.

Notai un certo imbarazzo in quelle parole. Sorrisi anche io.

"Grazie...", dissi ancora un po' tesa. Poi mi disse una cosa che non avrei mai immaginato:

"Hey, cosa ne dici di venire nel mio ufficio? Potremmo chiacchierare un po'..."

"Non devi lavorare?"

"Non preoccuparti, ho finito il turno"

Dentro di me stavo gridando, ma radunai tutto l'autocontrollo che mi era rimasto e accettai, felicissima.

Come i girasoli col sole ||Carlisle Cullen Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora