Capitolo VI

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Io e Carlisle ci incamminammo lungo il marciapiede. Per qualche minuto camminammo in silenzio, io con la testa bassa, come mio solito, e lui che guardava davanti a sé, le mani nelle tasche dei pantaloni. Ad un certo punto alzai la testa anche io, e mi voltai verso Carlisle. Si voltò anche lui, e mi sorrise. Ricambiai il sorriso. Quegli sguardi, non so perché, ma erano carichi di mille significati che ancora non riuscivo a comprendere. Distogliemmo lo sguardo l'uno dall'altra nello stesso istante. Mi guardai intorno.

"Che bella Forks... È molto diversa dall'Italia", pensai ad alta voce.

"Mi fa piacere che ti piaccia. È vero, sicuramente è diversa dall'Italia. Lì almeno non piove un giorno sì e l'altro pure", disse con una risatina finale che, ad essere onesta, mi mandava fuori di testa.

"Cosa intendi per: "piove un giorno sì e l'altro pure?" ", chiesi un pochettino preoccupata.

"Forks è così, piove tantissimo", e indicò i nuvoloni sopra di noi, "ma per ora il tempo sta reggendo, anche se non so per quanto".

Guardai in alto: il cielo era nascosto da dense nubi grigie. Feci una faccia alla "Andiamo bene", e Carlisle si mise a ridere. Quella stramaledetta risata, era così bella! Risi anche io, coinvolta. Quando finimmo di ridere, mi accorsi che eravamo arrivati nel centro città. Carlisle si voltò verso la sua sinistra e mi disse:

"Vorrei offrirti un gelato, ma non so se sia buono come quello italiano...".

Vidi che stava guardando una gelateria. Mi stava seriamente offrendo un gelato?! Oddio. Oddio!

"Volentieri! Voglio vedere come è il gelato qui", dissi tentando di rimanere disinvolta. Lui sorrise, e ci dirigemmo verso la gelateria. Entrammo, e la gelataia sgranò gli occhi vedendo Carlisle. Come biasimarla... Guardai i gelati, erano tutti molto invitanti. Optai per un cono alla stracciatella, il mio gusto preferito. Feci per prendere il portafoglio dalla borsa, ma Carlisle mi bloccò.

"No no, ho detto che offro io, tu non preoccuparti", mi disse sorridendo. Arrossii, bloccandomi per un attimo.

"G-grazie mille", ricambiai il sorriso. Avevo quasi perso quel briciolo di stabilità emotiva che mi serviva per sopravvivere a situazioni come quella.

"Tu non vuoi nulla?", gli chiesi.

"No grazie, non ho molta voglia...".

"Da noi il gelato non viene quasi mai rifiutato", ridacchiai.

"Beh, benvenuta nello Stato di Washington!", disse anche lui ridacchiando. Percepivo però nella sua voce un tono leggermente diverso, come se stesse nascondendo qualcosa. Ma probabilmente era la mia immaginazione, per cui non ci badai troppo. La gelataia mi porse il gelato e Carlisle pagò, lasciando anche la mancia. Uscimmo dalla gelateria e assaggiai il gelato.

"Cosa ne pensi?", chiese Carlisle.

"È un po' diverso da quello italiano, ma è lo stesso molto buono", risposi. Effettivamente da quando ero arrivata in America non avevo mai pensato a come sarebbe stato il cibo.

"Sono felice che ti piaccia, considerando che vieni dalla patria del buon cibo", disse sorridendo.
Ci incamminammo in una via lì vicina, mentre mangiavo.

"Sei un buongustaio vedo...", risposi ricambiando il sorriso. Carlisle mi rispose in un modo un po' particolare:

"Sì, potremmo dire di sì...".

Di nuovo quel tono titubante, stavolta molto più evidente. Feci una faccia come per dire: "Cosa intendi?", ma lui scosse la testa sorridendo. Decisi quindi di lasciar perdere. Finii il gelato, era davvero buono. Dopo qualche minuto di silenzio, una goccia d'acqua mi cadde in testa. Ci fermammo contemporaneamente e guardammo il cielo: stava iniziando a piovere. Carlisle mi guardò e disse:

"Te l'avevo detto che sarebbe piovuto!"

"Per fortuna ho portato l'ombrello!", dissi prendendolo dalla borsa. Lo aprii e lo alzai sopra la nostra testa. Mi accorsi però che era un po' troppo basso per Carlisle. Lui mi prese delicatamente l'ombrello di mano e lo alzò, in modo tale che anche lui fosse coperto. Poi fece una cosa che mi mandò, di nuovo, fuori di testa: appoggiò la mano sul mio fianco e mi strinse a sé, per non farmi bagnare. Quando lo fece, avvampai. Sorrisi, per tentare di non far notare il panico che stavo provando. Trascorremmo il tempo in silenzio, io non riuscivo a parlare. Ad un certo punto, pochi minuti dopo che il sole era tramontato, mi avvolse una strana sensazione. Era come se percepissi un qualcosa di "sovrannaturale" vicino a me. Un tremito mi percosse la schiena e per qualche secondo mi venne la pelle d'oca. Carlisle si rese conto che qualcosa non andava, e mi guardò preoccupato.

"Qualcosa non va?".

Tentai di ignorare quella strana sensazione, non volevo farlo preoccupare.

"No niente, tranquillo...", dissi forzando un sorriso.

"Beh, sappi che per qualsiasi cosa io ci sono", disse ricambiando il sorriso.
Anche quella frase mi fece arrossire.

"Grazie!"

Non poteva essere il freddo, si stava bene, ma lo stesso ogni tanto mi venivano i brividi. Dopo una decina di minuti, arrivammo a casa mia. Aprii la porta, e dalla soglia Carlisle disse:

"Io adesso devo tornare a casa, cosa ne dici se ci vedessimo uno di questi giorni?".

"Molto volentieri! Mi ha fatto molto piacere stare con te stasera", e cavolo se mi aveva fatto piacere.

"Perfetto, allora ci vediamo!", disse, poi mi porse l'ombrello e si incamminò.

"Ciao!", lo salutai.

Entrai in casa, mi chiusi la porta alle spalle e sospirai, felicissima.

Come i girasoli col sole ||Carlisle Cullen Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora