Capitolo IV

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Carlisle disse qualcosa ad una infermiera, che si mostrò estremamente gentile e sfoggiò dei sorrisini quasi isterici. Si capiva che, a quanto pare, non ero l'unica che lo trovava davvero bello. Poi mi fece cenno di seguirlo. Si avviò lungo il corridoio principale, e io gli stavo dietro, nonostante un suo passo fosse come due dei miei. Dopo alcuni passi, rallentò e si girò a guardarmi sorridendo. Io mi portai accanto a lui, mentre tutto il personale dell'ospedale ci guardava. Salimmo una rampa di scale e attraversammo un altro corridoio, quando poi si fermò davanti ad una porta. La aprì.

"Prego", mi disse tenendo la porta aperta.

Entrai ancora un po' imbarazzata , poi lui chiuse la porta e si portò vicino a me. Lo studio era abbastanza grande e arredato con cura, con una grossa scrivania scura e delle poltroncine al centro e alle pareti tanti scaffali pieni di libri. Mi fece cenno di sedermi su una poltroncina. Mi sedetti, e lui si sedette accanto a me.

"Come ti sembra Forks?", mi chiese.

"E' molto carina, ho fatto bene a venire qui...", risposi pensando a quanto ero stata fortunata ad arrivare in quella cittadina. "Ora però ho un dubbio: devo darti del lei? Prima non sapevo fossi un dottore...", chiesi dubbiosa ma con una punta di ironia.

"Oh, non ti preoccupare... in fondo siamo amici no?", sorrise. Notai che la parola "amici" aveva avuto un accento strano, come se non fosse del tutto vero. E se stava provando quello che stavo provando io? Impossibile... In fondo, lui era un dottore bellissimo e molto intelligente ed io ero... io. Sorrisi, non sapendo bene cosa rispondere. Calò il silenzio, perchè nessuno dei due sapeva cosa dire. Decisi di proseguire io:

"Hey, posso farti una domanda?"

"Certo", rispose.

"Da quanto tempo è che lavori qui?"

Esitò un attimo a rispondere, poi disse:

"Non ricordo di preciso... Comunque da un po' di tempo"

Rimase molto vago nella risposta, e non capii il perchè, ma tentai di non dargli peso. Poi disse:

"Ho visto che prima, in corridoio, eri un po' tesa... c'è qualcosa che non va?". L'aveva chiesto in modo sincero, gli interessava davvero sapere come stavo. Non potevo dirgli la verità, o almeno non tutta, per cui gliene raccontai solo una parte.

"E' che gli ospedali non mi sono mai piaciuti tanto, mi hanno sempre messo ansia... Però, potrei cambiare idea...", dissi sorridendogli. Sorrise anche lui, poi si fece un po' preoccupato.

"Se non te la sentivi di entrare a cercarmi, potevi benissimo telefonarmi. Mi spiace..."

Feci cenno di non preoccuparsi e lui si rilassò. Incuriosita dalla moltitudine di libri presenti sugli scaffali, mi misi ad osservarli, quando poi un libro catturò la mia attenzione. Carlisle seguì il mio sguardo e vide il libro. Sorrise:

"Ti piacciono i vampiri?".

Era una magnifica edizione di Dracula. Lui si alzò, prese il libro e me lo portò.

"Sì, mi piacciono un sacco. E poi, questa edizione è bellissima...".

Le pagine, che sfogliavo con una cura estrema, erano leggermente ingiallite, segno che erano molto vecchie.

"Ho sempre adorato i vampiri, aspetto ancora Dracula che mi trasformi...", dissi ridacchiando. Carlisle mi sembrò sorpreso, come se quello che avevo detto fosse possibile. Ma non lo era, giusto? Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, Carlisle sembrava immerso nei suoi pensieri. Ad un certo punto, qualcuno bussò alla porta.
"Avanti", disse Carlisle in inglese, voltandosi verso la porta. L'infermiera con cui Carlisle aveva parlato prima entrò.

"Dottor Cullen, c'è bisogno di..."

La voce estremamente melensa si interruppe, quando si rese conto che in parte al dottore c'ero io.

"Arrivo subito", rispose Carlisle. Prima di uscire, l'infermiera mi lanciò un'occhiataccia. Carlisle si alzò e mi disse:

"Scusa il lavoro mi chiama. Purtroppo a volte si dimenticano che avrei diritto anche ad una pausa ogni tanto.", disse per poi sorridere. "Se vuoi, possiamo incontrarci con più calma."
Mi alzai anch'io.

"Molto volentieri, se vuoi puoi venire da me", poi gli dissi il mio indirizzo. "Perfetto, grazie mille... Vuoi che ti accompagni all'uscita?".

"No, tranquillo, il lavoro ti chiama"

Sorridemmo entrambi, poi, come quando ero entrata, mi aprì la porta e disse:

"Allora, alla prossima"

"Alla prossima!", e uscii dall'ospedale con le farfalle nello stomaco.

Come i girasoli col sole ||Carlisle Cullen Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora