#dimenticare#

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Egle stamattina si svegliò nel suo letto con le coperte fiorite
Egle la scorsa notte si era addormentata chiedendo la morte.
Egle alzò lo sguardo verso lo specchio opaco
Egle stava sorridendo
Egle aveva voglia di mangiare
Egle aveva voglia di amore
Egle voleva palare
Egle era felice.
Il dolore di Egle era svanito nella notte
come erano svaniti gli effetti delle manciate di pillole colorate,
Egle aveva detto addio ad alta voce quella notte.
Gli ospedali, i farmaci, le sedute, le parole di conforto... si era tutto dissolto nel nulla come se la vita dei due anni precedenti fosse appartenuta ad un'altra Egle, non riconosceva quei segni sulla pelle, quel dolore ad ogni movimento,
quelle occhiaie e gli occhi gonfi,
non riconosceva nulla di quello che era,
sembrava tutto così lontano e alieno.
Egle sorrideva bevendo una tazza di latte
Egle si fece accarezzare le gote dai raggi del sole
Egle non vomitò
Egle non maledisse quella mattina.
Era così felice.
Egle però non capiva,
sentiva gli sguardi lontani e la sua presenza fuori posto,
come se fosse tutta un'illusione o una simulazione.
Egle non ci pensò,
quel presentimento s'allontanò in un baleno
perché Egle era felice.
Le sembrava di essere appena nata e ogni segno della natura era un dono per lei: il vento tra i capelli, il vociare del mercato e il richiamo dei gabbiani...
tutto urlava di vita, di una nuova vita da cominciare.
Lo voleva urlare, di essere viva, voleva farsi sentire da tutti.
Cosa aveva fatto prima di quella mattina ? quale era stata la sua vita ?
Egle riuscì vedersi,
vide la sua estate, il suo Natale, il suo lavoro e la sua vecchiaia,
Egle voleva viaggiare
Egle voleva sentirsi libera.
Egle prese il cellulare, voleva scrivere "ti voglio bene" a suo padre,
sentiva il dovere di farlo, come una cosa comune,
come se quasi non lo avesse mai fatto.
Una notifica.
"come stai ?"
Egle visualizzò, non rispose,
spense il cellulare e si incamminò verso casa
mamma non c'era.
Egle aprì il cassetto sotto al letto.
Egle non era rinata e non si era dimenticata del suo ieri,
non aveva cancellato la sua malattia e il suo odio,
non aveva scordato le lezioni che la vita le aveva impartito
Egle si vergognò e si sentì male.
Quante Egle poteva essere ?
Percepì la stretta allo stomaco, le bende tirare, le braccia formicolare,
il sonno incombere, il sole infastidire la pelle, il vento infreddolirla
e non riuscì più a vedersi vecchia,
tutto era tornato normale, alla sua triste normalità che quando tornò,
la accolse schiacciandola come un onda impetuosa
ma facendola sentire riscaldata.
Si sentì a casa.
Era stato così improvviso e fuggente.
Come aveva potuto dimenticarsi di tutto quello,
era come se avesse dimenticato se stessa,
la Egle baciata dal sole non aveva destino di durare,
doveva essere un sogno breve e fuggevole,
proprio così come era stato,
niente di più.
Egle andò allo specchio del bagno e osservò,
non si riconobbe
anche la stessa Egle doveva, in fin dei conti,
essere fugace e temporanea.
Egle urlò e
maledì quella giornata.

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