2. La mia forma di paradiso privata.

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«Ognuno di noi, ha sempre qualcosa che lo rende felice. Io per esempio, ho le caramelle»

E' passata circa una settimana da quella fatidica cena, che oltretutto (scusate il francesismo) é stata davvero pallosa e noiosa. Nonostante ciò, ho passato tutto il tempo a cercare su internet quella strana accademia e non so perchè, ma mi incuriosisce molto. Onestamente il mio cervello è diviso in due: una parte mi dice di non andare e di non fidarsi, perché potrebbe succedere di tutto; dall'altra, non vede l'ora di scoprire che cosa si cela dietro quel fatidico volantino ed oggi è il primo settembre, ormai l'estate è finita ed è anche il giorno della mia partenza per andare alla Bloodwynd.

A mia zia ho già accennato qualcosa, anche se non so nemmeno io che cosa sto facendo. Forse sto solo seguendo l'istinto ma non so se mi porterà sulla buona o sulla cattiva strada. Devo ammettere che la sua reazione è stata davvero esilarante, quando gli ho detto che sarei partita per una specie di college (mettiamola così), ha fatto i salti di gioia dicendo che era contenta per me, ma sappiamo entrambe che non vedeva l'ora di sbarazzarsi della sottoscritta.

Sarò sincera, non mi dispiace mica. Ancora mi chiedo, nonostante i miei diciannove anni, che cosa ci faccio ancora qui. E' vero, non sono ancora maggiorenne, ma avrei potuto benissimo iniziare il college un anno fa. Solamente non ho voluto perchè non ce n'era uno di mio gradimento. Magari sono strana io, che a differenza dei miei compagni sapevano già che strada intraprendere per il loro futuro? Non lo so, ma meglio tardi che mai.

E così eccomi qui, sulla porta di camera mia, con le valigie già fatte (una volta messo lo stretto necessario) e pronta per incominciare questa nuova avventura. Qualcosa mi dice che sto facendo la cosa giusta, speriamo che sia vero.

Ho avvisato anche Rafael della mia partenza, solo che nemmeno a lui ho raccontato la verità, probabilmente per paura di una sua delusione nei miei confronti, siccome di solito sono una persona che pensa prima di agire. Però così è andata e non ci posso fare niente, prego solo che al mio ritorno posso spiegarli dettaglio per dettaglio.

Recupero le mie ultime cose da disegno e le metto nella mia borsa, pregando che all'accademia posso avere uno spazio libero nella mia camerata per distrarre la mente da qualcos'altro e rilassarmi quel che basta. Sapete, dopo aver visto molti film ambientati al college, c'è sempre quella compagna di stanza che ha già occupato tutti gli spazi liberi presenti nella camera, lasciandoti vuoto solo il letto. Ecco non vorrei finire in queste condizioni (d'altronde non chiedo molto).

Poi passo a guardare ogni angolo della mia stanza, cercando di imprimerlo nella mia mente, sapendo che molto probabilmente, non ritornerò per le vacanze natalizie (di certo il natale preferisco passarlo da sola che in compagnia di mia zia e mia cugina). Infine osservo il mio letto e per poco non mi viene un infarto. Mi avvicino e alzo il cuscino estraendo la piccola e unica foto che ho dei miei genitori. Mia madre con i suoi lunghi capelli biondo cenere e due occhi azzurri come i miei, poggia la sua testa sulla spalla di mio padre, che è l'opposto di lei: occhi profondi marroni e capelli neri, scuri come il carbone. Entrambi sono seduti su una panchina di un parco in piena estate. Erano così belli e pieni di gioia.

A distrarmi da tutto è un messaggio del taxi sul mio cellulare, il quale mi dice che è appena arrivato e mi sta aspettando per portarmi in aeroporto. Così, prendo le mie cose ed esco da questa casa facendo il minimo rumore, fino ad arrivare giù per le scale chiudendomi definitivamente quella porta alle spalle, che mi ha condotto solo sofferenza e malinconia, sperando che poi in futuro, mi si apra un portone e bello grande aggiungerei.

«Buonasera signorina, dove la porto?» mi chiede il taxista, una volta messa la valigia nel portabagagli e prendendo posto alla guida, allacciandosi la cintura di sicurezza, per poi guardarmi con le sue occhiaie profonde attraverso lo specchietto.

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