12. Qualcosa sta per accadere.

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«Quanto sarebbe bello taccare il cielo con un dito...peccato che sia solamente un modo di dire.»

Non so che cosa sta succedendo, ho davvero tanta paura, mi viene da piangere però continuo ad essere forte. Cerco di esserlo. Ma la fredda lama del coltello che tiene in mano JD, sulla mia gola, non aiuta affatto. Desidero ardentemente che questo sia soltanto un brutto sogno, ma d'altronde dagli incubi non si può scappare.

«Credi di farmi paura con quel coltello?» parlo ancora con gli occhi bendati, cercando di non far trasparire le mie attuali emozioni.

«Oh agnellino..ti conosco così tanto bene, da sapere che in questo momento te la stai facendo sotto ed eviti di farlo notare perchè sai, di essere una debole come tutti gli altri.» getta quelle parole come se fossero fuoco ardente su cui io debba camminare. Non ho mai visto questo lato di lui e non capisco perché ce l'abbia con me. JD è sempre stato la mia spalla su cui piangere e il mio segnalibro in mezzo a mille pagine. Ora, noto davanti a me una persona senza cuore e senz'anima.

«Ma cosa ti avrò mai fatto per essere trattata così da te? Non ti riconosco più...» ammetto stanca e priva di forza, per continuare a slacciare la corda che mi tiene legati i polsi. Odio il fatto di non riuscirlo neanche a guardarlo in faccia!

«Come, non lo sai? Allora sarà meglio che ti rinfreschi la memoria...» e detto questo, slega la benda dai miei occhi, così che io possa finalmente vedere i suoi.

«Ti ricordi ancora di Pierre?» solo adesso, tutti i vecchi ricordi chiusi in un cassetto, ritornano a galla. Si catapultano, risalgono graffiando le pareti del mio cuore fino a straripare come un fiume in piena.

***

«Allora che cosa ti ha detto?» domanda qualcuno.

«Che non ha avuto un incidente (come ha fatto credere a tutti gli altri), ma è stata attaccata.» gli risponde qualcun'altro.

«E pensi sia la stessa creatura che abbiamo incontrato in biblioteca?» sento una porta sbattere e poi si aggiungono vari brusii e vociari.

«Può darsi, ma non ne sono sicuro.» sento qualcosa sfiorarmi il braccio ma continuo a mantenere gli occhi chiusi. La calma che mi trasmette questo tocco mi dona serenità. Sembra di volare sopra un mare di soffici nuvole.

Sussegue un momento di silenzio nel quale nessuno dei due parla, ma un sospiro pesante mi fa dissentire da quello che ho detto.

«Allora...lo sa? Glielo hai già detto?» gli chiede e io non capisco di cosa stanno parlando. I polpastrelli delle sue dita continuano a percorrermi tutto il braccio e io vorrei che continuasse fino all'infinito.

«E adesso quale sarebbe l'argomento in questione?» pronuncia l'altro mentre sento il tappo di una bottiglia aprirsi e a seguire, la plastica scricchiolare.

«Non lo so, dimmelo tu.» sento una risatina e magicamente quel tocco delicato sparisce, lasciando solo un vuoto pieno di gelo e ghiaccio. Dopodiché, odo dei passi pesanti e poi la porta che viene aperta e chiusa con un tonfo.

Apro leggermente gli occhi e per un attimo rimango spaesata dalla forte luce che illumina il soffitto e il mio viso. Con i gomiti, cerco di alzarmi lentamente in modo tale da mettermi seduta sul lettino d'ospedale in cui mi ritrovo. Osservo quello che mi sta intorno e noto che tutti i muri, persino l'arredamento, sono completamente bianchi cadaverici, quasi da far venire la nausea.

Sposto le ciocche dei miei capelli dietro le orecchie e osservo le mie mani, le mie braccia e il mio corpo per vedere se ho qualcosa di rotto ma sembro non avere nulla. Grazie al cielo.

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