13. Le selezioni I

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«tanti indovinelli e pochi indizi.»

pov Reval

ero soltanto un caso disperato tra mille.

Era questo quello che mi dicevano in molti. Ho sempre odiato il pregiudizio delle persone, coloro che giudicano un libro dalla copertina. Ripudio gli esseri superficiali e tutto ciò che mi ricorda questa frase. Non sopporto la vita lineare senza ostacoli, mi piace correre il rischio, mi nutro dei veleni altrui siccome, io stesso, sono già composto da un marcio che mi corrode dentro. Per me soffrire significa vivere...ed è quello che sto facendo in questo momento al medesimo posto.

Mi è sempre piaciuto questo luogo: osservare l'enorme foresta di pini sotto di me e sentirmi potente ma al tempo stesso impotente. Ho così tanta rabbia repressa che ho quasi paura di me stesso e di quello che potrei fare. Forse stare qui è l'unico paradiso che posso permettermi.

Prima non era così, non mi sentivo vuoto e perso. Prima potevo vedere le costellazioni con solo un suo tocco. Ora neanche quello. Oggi mi sembra di navigare in un mare buio, spento, inquinato e senza una salvezza in vista. Mi sento consumato.

«Reval, ci sei?» appena sento la voce di Damen, svogliatamente, mi allontano dalla vetrata e scendo velocemente le piccole scale a chiocciola per poi aprire e chiudere a chiave la porta alle mie spalle. Quella stanza è il mio posto, nessuno può entrarci perché nessuno riesce a capirmi, non come...

«Reval, allora ci sei? Guarda che gli altri ci stanno aspettando fuori!» senza neanche rispondergli, raggiungo il piccolo soggiorno del mio rifugio. Ormai i miei compagni mi conoscono e sanno che sono un tipo che sta per le sue, silenzioso e calcolatore.

«Eccomi.» appena faccio il mio ingresso, vedo Damen che si sistema il ciuffo dei capelli mentre con l'altra mano sta scrivendo un messaggio sul cellulare, probabilmente agli Erinni o a Diana. Quando sente la mia voce, alza di scatto la testa ed emette un sospiro di sollievo, rimettendo il suo cellulare in tasca e alzandosi dal bracciolo della poltrona su cui era seduto.

«Finalmente stronzo! su andiamo che oggi ci sono le selezioni.» si dirige verso la porta, seguito a ruota da me e mentre recupero il mio chiodo di pelle posto sull'attaccapanni, non posso far altro che soffermarmi su quella poltrona e ripescare nei ricordi, ancora vividi nella mia mente, che cosa sia successo proprio lì. Di conseguenza, le mie labbra si incurvano in un sorriso spontaneo ma pieno di malinconia.

Per quanto ancora dovrò passeggiare con addosso un'anima contaminata?

pov Maila

«Le tredici comete, sono state create da esseri magici con grandi poteri. Tredici perché l'uno è l'origine di tutte le cose, è un numero divino ed è la sorgente di tutto ciò che esiste e che è. Il tre invece, è la conoscenza della completezza e della perfezione. Così, dall'unione di questi due numeri, si è venuto a creare il nostro mondo.» spiega la professoressa Kellyson facendo scorrere le immagini sul proiettore, mentre io non aspetto altro che finisca questa lezione per chiedergli se sta meglio dopo quello che è accaduto la volta scorsa.

«La leggenda narra che le comete dopo la creazione, si siano disperse nei posti più remoti della terra, introvabili da noi e dall'essere umano. Nessuno è mai riuscito a trovarle ma come ho detto è soltanto una leggenda.» una volta finito di spiegare, spegne il proiettore e successivamente va verso la cattedra, camminando sempre con fierezza come se nulla fosse successo nonostante io la guardi scioccata.
Con tutto quel sangue che ha perso potevano amputargli una gamba!

«Come mai quella faccia sconvolta bellezza?» mi giro alla mia destra e guardo Paul stravaccato sul banco, affianco al mio, che mi guarda con un sopracciglio inarcato. Quasi mi stavo dimenticando della sua presenza.

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