Satori
Entra in auto che sbatte la portiera.
- Che schifo. Ma si devono attaccare tutti a
me? - la voce irritata di Shirabu riempie l'abitacolo.- Che esagerato, per dei bambini - lo stuzzico di proposito.
- Sai cosa Tendō? 'Fanculo. Intanto tu hai passato il tempo a dormire sotto un fottuto albero, mentre io facevo tutto il lavoro, e poi, come se non bastasse, è arrivato anche quel coso coi capelli neri che mi intralciava. - continua a lamentarsi, le mani che stringono il volante con forza e una vena sulla tempia per lo sforzo di gridare.
- A proposito di quel bambino, mi ha subito sentito avvicinarmi. - dico, sperando in una reazione che non tarda ad arrivare.
- Ti ha sentito? Non è possibile. - non urla più Shirabu, sussurra quasi, sconvolto.
Sembra così strano, sinceramente è una cosa nuova per me.
Le persone non mi sentono camminare e arrivo sempre alle loro spalle senza essere mai notato; vorrei potermi vantare di questo mio talento naturale, ma non è un talento, tanto meno naturale: anni di pratica ed esercizio della tecnica, ore passate ininterrottamente a camminare su materiale del più svariato tipo per capire come non fare rumore, e ancora più tempo per incorporare quest'accortezza in un'andatura che sembrasse il più naturale possibile.
- Sì e poi è scappato, l'istinto non gli manca. - dico in tono leggero, ma so che Shirabu ha capito, nonostante mi trovi irritante capisce sempre che intendo.
- Tsk. Quel moccioso. E poi si attacca addosso a me, fra tutti. Bene, direi di chiedere al capo che fare con lui. - concede, riconoscendo del potenziale in qualcuno che ritiene tanto fragile.
- Anche l'altro, Wakatoshi, è interessante, la fionda sembra un pezzo di lui. - aggiungo allora, ho la sensazione che avremo molto da fare se tutto andrà come immagino.
- Sai anche come si chiama, ammirevole. - il sarcasmo è così evidente nelle sue parole che quasi sembra simpatico.
- Sì sì, muoviti che devo parlare con Washijō - la conversazione per me è finita, ma Shirabu dà il proprio profondissimo contributo con una delle sue solite espressioni colorite.
Non che non abbia avuto un'educazione, anzi è uno dei primi presi sotto la Shiratorizawa quando ancora era agli albori e in necessità di componenti, e gli sono quindi state impartite innumerevoli lezioni di comportamento che ha sempre rispettato alla perfezione: come salutare chi, le maniere a tavola e persino il tono da utilizzare in diverse situazioni, ed è come se fosse un rigido manuale di galateo ambulante, solo che, quando Washijō non c'è, arricchisce il proprio vocabolario di termini irripetibili che denotano un particolare studio di anatomia, ma anche, anche se meno spesso, teologia.
Il viaggio in auto è proseguito in completo silenzio, se non per il sottofondo raschiato della radio, che trasmette vecchi successi musicali dei decenni passati.
Appena il principino al volante parcheggia,
dire che mi precipito fuori dalla vettura è un eufemismo.Corro, perché corro, fino allo studio di Washijō.
Mi fermo davanti alla porta, il petto che si alza e abbassa veloce.
Non so se ci sia qualcuno con lui, ma voglio evitare qualsiasi tipo di inconveniente e quindi attendo, immobile, in ascolto.
Sto per appoggiare la mano alla maniglia quando la porta si spalanca di colpo e ne esce Reon, rigido nel completo blu che indossa quotidianamente. Non saluta, quasi mi travolge nella fretta dell' eseguire chissà quale commissione assegnatagli.
Entro nello studio, Washijō in piedi davanti alla finestra, un bicchiere con del liquore ambrato.
- Boss. - richiamo la sua attenzione, aspettando comunque il permesso di parlare.
- Dimmi Tendō - il tono calmo ma autorevole sembra quello di un padre, e devo ammettere che un po' lo è stato per me: punto di riferimento, fonte di insegnamento ma anche di conforto e consiglio.
Se Washijo non mi avesse preso con sé non credo sarei riuscito a sopravvivere a lungo per strada. Molti potrebbero pensare sia un vecchio viscido, con doppi fini, ma era solamente tanto solo e con il sogno di circondarsi di una grande famiglia per non morire in solitudine e dimenticato.
È ancora girato di spalle.
- Ho un'idea che c'entra con l'Isola delle Mucche. - azzardo.
Lancio una mina accesa, ne sono consapevole, ma sono altrettanto consapevole dell'impatto di queste parole e il loro possibile risultato.
- Continua. - il tono vuole essere impassibile ma percepisco un tremolio di fondo e vedo le sue spalle raddrizzarsi impercettibilmente.
- Ho trovato due ragazzi che penso possano portare grande contributo all'organizzazione. Wakatoshi e Goshiki. - faccio una breve pausa, per far affondare il concetto.
- Il primo ha una mira eccezionale e sono sicuro possa essere ancora migliorata. L'ho visto. Con una fionda e della ghiaia centrava lattine su un muretto a venti metri di distanza e la fionda l'aveva costruita lui stesso. - ho reso il mio tono quasi ossequioso nel riferire le informazioni, riconosco sia meschino ma quel bambino ha un talento troppo grande per essere ignorato.
- Il secondo invece mi ha sentito arrivare, camminavo sull'erba umida di pioggia, ed è scappato. - mi conosce, ha seguito il mio addestramento e questo basta, basta per attirare la sua attenzione e farlo voltare con gli occhi lievemente spalancati. Centro.
- Bene. Molto bene. Avevamo bisogno di queste capacità. - è quasi tenero il modo in cui si riferisce solo alle abilità proprie dei ragazzi volendo nascondere la forte volontà di dare loro un futuro.
Attendo.
Probabilmente ora aggiungerà delle direttive provvisorie per avere tempo di pensare.
Mi sembra ragionevole, non è facile accettare da un giorno all'altro un nuovo membro nella famiglia, per non parlare di due: nel corso degli anni di collaborazione, ma anche convivenza, si è sviluppato un ben preciso equilibrio, a partire dall'incastro perfetto dei ruoli di ognuno, e l'ingresso di nuovi elementi porterebbe sicuramente a uno sconvolgimento nel nostro piccolo ecosistema.
- Domani tornerai là e recupererai i due con Reon, assegnerò loro una stanza. Non voglio fastidi, insegnagli le basi e poi vedremo. Ritorna alle tue mansioni. - decide, con aria risoluta.
É fatta.
Bene.
Benissimo.
- Certo. Con permesso. - cammino all'indietro inclinando il busto in un mezzo inchino, uscendo poi dalla stanza.
Rido.
Rido così forte, nella mia testa.
Da fuori nessuno vede la mia euforia, la mia gioia.
Da fuori mi vedrebbero come al solito, magari con gli occhi più 'spiritati', come dicono loro quando credono non li senta, del normale, ma nulla di così fuori dall'ordinario da destare qualche strana considerazione.
Sinceramente non so che mi prenda.
Sarà il gusto della novità, qualcosa, qualcuno di cui occuparmi, non ne ho idea.
So solo che sento un'elettricità sotto pelle che non sentivo da anni, che per la prima volta da molto tempo mi fa sentire così vivo da farmi chiedere cosa abbia fatto fino ad ora.
Bene.
Domani allora.
A domani, Wakatoshi.
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𝐶𝑜𝑚𝑒 𝑔𝑜𝑐𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑜𝑔𝑔𝑖𝑎 [ushiten]
Fanfiction« Sorrido amaramente ai ricordi. Mi vedessero ora. Le mani sporche di sangue e una pistola sempre carica nella fondina. Numerosi omicidi alle spalle. Nessun rimorso, anzi, oserei quasi dire di essermi divertito, di aver provato piacere, un brivi...