Capitolo 5

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Satori

Cammino, quasi saltello, lungo i corridoi e su per le scale, ma non riesco a contenermi.

Ce l'ho fatta.

Ci sono riuscito.

Washijō li lascia rimanere.

Hanno talento, tanto, e qui avranno la possibilità di coltivarlo e sfruttarlo al meglio.

So che l'ambiente non è dei migliori, me ne rendo conto, ma è sicuramente meglio di essere cacciati dall'orfanotrofio appena raggiunta la maggiore età o essere comprati da chissà quale ricca persona fatiscente in cerca di compagnia.

Non so perché ci tenessi tanto, infondo non è che li conosca, ma ora sento il cuore più leggero sapendoli al sicuro e in un luogo che conosco.

Come quando, dopo aver trovato un gattino infreddolito lungo la strada, senti l'animo in pace lasciando la clinica veterinaria.

Un paragone stupido, lo so, ma è esattamente il primo che mi è venuto in mente per spiegare come mi sento.

In un attimo raggiungiamo il secondo piano, dove un lungo corridoio si apre sulle diverse stanze, tutte chiuse però da porte identiche, semplici e monotone.

Io sono stato in ognuna di quelle dannate stanze.

Ci sono rimasto ore, solo, con altri, senza mai fare due volte la stessa cosa.

Ci ho dormito, riso, pianto.

È, sempre, come entrare in un mondo a sé, quattro pareti che diventavano immense tele di vita con piccoli chiodi che servono ad appendere il nulla, lì quasi per puro gusto estetico, scarabocchi che non rappresentano nulla, promemoria frettolosi scritti su angoli di pagine strappate e incollate al muro con del nastro adesivo: quattro pareti che diventano una ragnatela di ricordi impregnata di emozioni, che intrappola in sé attimi talmente preziosi da essere impossibili da dimenticare.

Le stanze di un'abitazione raccontano una storia, sono specchio di una vita intera.

Sono specchio di una vita intera anche i nomi.

C'è chi lo tiene tutta la vita, chi lo cambia per sentirsi sé stesso.

I nomi raccontano una storia.

Quelli che abbiamo dalla nascita sono segno delle nostre origini.

Quelli che ci vengono affibbiati nel corso della vita, invece, sono a dimostrazione di un cambiamento talmente profondo nelle nostre vite da modificare anche la parte più primordiale del nostro io.

Qui alla Shiratorizawa esiste un rito.

Un rito di passaggio che ti rende ufficialmente parte della famiglia.

- Toshi? - devo spiegare.

- Sì? - la voce sembra quasi timida. Adorabile.

- Anche tu Tsutomu. È mio compito spiegarvi le cose più importanti. Ora statemi bene a sentire, mi raccomando. -

Iniziamo.

𝐶𝑜𝑚𝑒 𝑔𝑜𝑐𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑜𝑔𝑔𝑖𝑎 [ushiten]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora