Capitolo 11.

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Blake POV

Osservo il mio riflesso allo specchio di questo lurido stanzino. I capelli scompigliati e gli occhi arrossati dall'alcool mi donano un aspetto malmesso mentre lo sguardo privo di umanità mi fa apparire come capace di commettere qualsiasi crimine senza battere ciglio.
Traccio la scritta all'altezza del costato carattere dopo carattere, l'inchiostro del primo tatuaggio che ho inciso soprattutto sottopelle mi appare più vivido che mai. Brucia. Nessun'accezione positiva in questa parola ma solo il significato più primitivo del vocabolo, lo stesso che mi ha marchiato per la prima volta quando provavo a cercarne un significato nascosto tra le lettere.
Non c'era nessun senso velato dietro quel linguaggio, bruciare significava sperare che iniziassi a correre verso le fiamme più distruttive di qualsiasi inferno, un augurio mortale carico di fiducia.

L'ho voluto imprimere nella pelle perché non potessi mai scordare, per ricordare ogni giorno che fidarmi è stato l'errore più irreparabile commesso. Per non dimenticare come questo singolo sbaglio, abbia corrotto ogni parte di me.

Due colpi alla porta indicano che è arrivato il momento di scendere in pista, rivolgo i miei occhi alle vene delle mani che sembrano sul punto di esplodere e stringo i pugni con forza.
Attraverso il corridoio scuro mentre ogni passo viene accompagnato dalle urla di cori in sottofondo di gente sconosciuta, continuo a camminare inclinando la testa in entrambi i lati incurante di ascoltare il mio nome ripetersi in un boato sempre più grande. Per la prima volta non è la voce di John ad annunciare il mio ingresso, nessun viso familiare che circonda un improvvisato recinto circolare ma solo una massa di studenti ubriachi e bramosi di assistere ad uno spettacolo senza precedenti. Sangue, ecco cosa vogliono.

Non desideravo proprio questo?

Avanzo fino ad entrare nel cerchio dell'incontro, percepisco lo sguardo addosso di chiunque in questo locale abbandonato mentre le loro voci arrivano ovattate e distanti alle mie orecchie. Solo il mio respiro rimbomba nella testa, come isolato da tutto il mondo che si sta animando proprio intorno al mio corpo.
Risucchiato dal caos, focalizzo la mia attenzione solo sul ragazzo che ora si trova di fronte ai miei occhi, muscoloso e impaziente di dar sfogo all'eccitazione dovuta da qualche tipo di droga in circolo nelle sue vene. Sposta il peso da un piede all'altro, muove le braccia colpendo il vuoto e non smette di sorridere come incapace di gestire il suo stesso fisico. Mettere al tappeto questo coglione non sarà difficile.

Una sensazione però che non riesco a decifrare ma che sento già di aver provato prima mi obbliga a guardarmi intorno, la percezione di essere seguito e il senso di guardia improvvisa mi rendono come immobilizzato a questo pavimento. Scruto la moltitudine di volti ravvicinati tra loro, cerco tra essi il responsabile di questi sentori, saetto lo sguardo rapidamente su ognuno mentre una crescente palpitazione mi serra la gola.
C'è qualcosa che non va, e non ha niente a che vedere con il combattimento che sta per aver inizio.

Uno spasmo allo stomaco, le mani che iniziano a tremare e il freddo che mi avvolge nell'istante in cui vedo la sua figura proprio in mezzo un mucchio di estranei. La barba grigia come i capelli, le rughe scavate nel viso ma soprattutto i suoi occhi, quelli che mai potrò smettere di osservare. Lui è qui, e mi sta fissando.

Non sento più niente, non ascolto più nulla. Inginocchiato sotto il suo potere è come se tornassi improvvisamente indietro nel tempo, quando ancora non conoscevo un modo per reagire ma, al contrario, cercavo di trovare un rimedio.
Provo a fare un passo avanti, urlare, qualsiasi cosa non sia restarmene fermo come ha sempre fatto il bambino.
Le vertigini repentine, l'aria asfissiante, tutto perde forma tranne il suo corpo più vivido che mai.
Paura e odio sembrano far a gara per spingermi a loro, vogliono fondersi con me per annebbiare qualsiasi altra forma di razionalità che mi farebbe scappare via da questa stanza proprio ora. Sono bloccato, completamente immobilizzato e incapace di dare una spiegazione alla sua presenza.
Non esistono più muri in questo edificio che assume invece le sembianze di una casa dove improvvisamente ci troviamo solo noi. Inaspettatamente però c'è il silenzio che accompagna la sua figura, nessuna parola, nessun urlo o rumore. Ed è perfino più agghiacciante non ascoltare la voce ma il suo mutismo.
Perché significa che ha appena iniziato a pensare.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora