Capitolo 26.

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Alyssa POV

Mi guardo allo specchio aggiungendo del correttore sotto le mie occhiaie, consapevole che questo non basterà a coprire i segni della stanchezza che da giorni marcano la mia pelle. Perché da quando sono venuta ad abitare nella casa che mio padre ha affittato per starmi vicino, non sono più riuscita a dormire davvero.

Tutto a causa di un sogno che puntualmente mi sveglia d'un tratto in piena notte.

Un'immagine di cui non riesco a decifrarne il significato, una soluzione di cui ancora sono distante dal comprenderne l'origine e che, proprio per questo, non posso fare a meno di pensare durante la giornata. Perché quando chiudo gli occhi mi ritrovo ad accendermi in un posto sconosciuto, rannicchiata al centro di una foresta mentre riesco a scorgere solo la luce fioca di una casa in lontananza indicarmi qualcosa. Allora mi alzo in piedi, scalza e infreddolita percepisco l'erba piegarsi sotto al mio passaggio. Il silenzio e la paura accompagnano ogni passo in direzione di un sentiero che sembra essere già stato calpestato da qualcuno, quando credo di essere arrivata alla fine ecco che mi trovo invece ad osservare lo stesso punto di partenza. Come imprigionata in un loop temporaneo continuo a percorrere la stessa strada sempre più velocemente, sempre più stanca, fino a quando inciampando nei miei stessi passi senza più fiato in corpo e cado a terra. È adesso, arresa all'idea di poterne uscire indenne, che afferro le mie gambe per portarmele al torace nella stessa posizione di partenza, quando d'un tratto percepisco una presenza muoversi alle mie spalle. Non sono più terrorizzata, al contrario un senso di calma brucia il centro del mio petto, così mi volto in direzione di questa sensazione ma non riesco a vederci niente. Niente ad esclusione di un paio d'occhi che si materializzano in mezzo al buio degli alberi mentre mi scrutano, illuminando per la prima volta anche il mio corpo esile. La sagoma di un uomo, forse un ragazzo, si avvicina verso me accompagnato da una sicurezza fuori da comune, il movimento disinvolto di chi conosce la vigorosità del proprio fisico. Non dice nulla, non ascolto mai il suono della sua voce, ma è sufficiente il suo sguardo a farmi rialzare. E quando sono sul punto di scoprire di chi si tratta affacciandomi nel punto di divisione tra i nostri corpi, ecco che mi sveglio di soprassalto portandomi una mano sul cuore per la velocità improvvisa che assumono i miei battiti. Mi ritrovo ogni notte così ad afferrare solo il vuoto, avvolta sempre più dalla consapevolezza che questo sogno non sia casuale ma abbia a che fare con tutto quello che oggi ancora mi sfugge. Come il presentimento che quello sguardo sia la chiave di ogni cosa e nasconda la verità di cui ho bisogno conoscere per andare avanti e smetterla di vivere nei ricordi del passato, cercando di colmare quei vuoti che non hanno una spiegazione a distanza di tutti questi giorni.

<<Alyssa?>> La voce di mio padre mi porta a sbattere gli occhi velocemente, di fronte al mio riflesso allo specchio come un automa mentre picchietto la pelle sotto l'occhio per stendere quel che resta del correttore. Appena me ne accorgo arresto questo movimento involontario, lasciando cadere la mano lungo il fianco. <<Ti stavo chiamando da un po'...>> Prova a dire analizzando ogni mio movimento come fosse uno psicologo. Senza il tempo di lasciarlo proseguire però lo supero, percorrendo le scale che mi dividono dalla cucina con una certa urgenza di allontanarmi da lui.
<<Non ti ho sentito>> mi limito a dire quando sento i suoi passi seguirmi.
<<Non credo sia normale, dovremmo avvertire il medico.>> Afferra il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni sbloccandone lo schermo un attimo dopo, quando mi raggiunge.
<<Non dobbiamo farlo affatto, ti ho detto di non aver sentito. D'altronde tu dovresti saperlo bene, per mesi abbiamo urlato davanti ai tuoi occhi la verità mentre tu non ascoltavi una sola parola.>> Ribatto certa di ottenere la sua attenzione. Il suo volto assume ora un'espressione contrariata e consapevole di averlo ferito, non riesco a provare nessun rimorso per le parole che ho appena pronunciato.

<<Non fare così, non è giusto.>> Mi ammonisce serio, appoggiando il telefono sopra la superficie di quella che è la nostra cucina da poco più di una settimana.
Sospiro incapace di reggere una discussione in questo momento e abbasso la testa fissando un punto indefinito del pavimento per non agitarmi inutilmente.
<<Sono solo stanca. È difficile gestire tutta questa situazione, fino a qualche giorno fa non ci rivolgevamo la parola e adesso... mi sento sopraffare.>> Cerco di spiegargli stabilendo il giusto contatto con le mie emozioni. Vorrei piangere ed urlare ma allo stesso tempo distaccarmi dai miei sentimenti, sentire tutto e niente insieme. Ecco perché spero che questa conversazione sia giunta alla sua fine senza il bisogno di parlare ancora, non riuscirei a sopportare l'insieme di altre sensazioni combinarsi dentro me in questo momento in cui mi sento dannatamente fragile.
<<Hai ragione, forse non sto rispettando i tuoi tempi.>> Scosta una sedia sedendosi a qualche posto di distanza, solo adesso che siamo lontani riesco finalmente a calmarmi. Mi sento una sconosciuta in questa casa che non conosco, con un padre che ho smesso di conoscere e una vita che non mi appartiene, mentre un senso di inquietudine accompagna lo scandire di ogni minuto delle mie giornate. Ho la sensazione di non essere più la stessa eppure sono io, alla fine dopo un'trauma non si è mai la stessa persona di prima. Dopotutto è normale, mi continuo a ripetere.

(Ri)trovarsi 2, quando da soli non bastiamo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora