Cicatrici

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Gli alti grattacieli nel cuore della città la sovrastavano. Con il nasino all'insù, li ammirava in tutta la loro imponenza; sentendosi piccola piccola, strinse ancora più forte la mano del padre. Spostava lo sguardo da un'insegna all'altra, catturata dalle luci psichedeliche. Un bambino che doveva avere grossomodo la sua età le passò accanto, sfoggiando fiero un palloncino giallo che teneva legato al polso.

"Ne vuoi uno anche tu?" le chiese dolcemente il papà. Lei si illuminò al pensiero di un cordoncino che la tenesse legata a quello che, ai suoi occhi, appariva come un sole in miniatura. Stava per esprimere il suo entusiasmo quando, improvvisamente, scoppiò il caos. Tutti si misero a correre e istintivamente iniziò a farlo anche lei. Corse finché sentì i polmoni bruciare. Quando non ce la fece più fu costretta a fermarsi per riprendere fiato e, guardandosi intorno, realizzò un fatto sconcertante: si era allontanata dalla sua famiglia. Il panico la assalì. Venne sballottata qua e là dai passanti, che scappavano in ogni direzione. Un uomo, nella sua cieca fuga, quasi le corse sopra e lei venne sbattuta violentemente contro la parete che le stava accanto. Passati pochi secondi avvertì un forte dolore al braccio, attraversato da un taglio profondo. Fu solo a quel punto, quando il suo sguardo si spostò dal rossore della ferita a ciò che le stava davanti, che li vide.

Tre oscure figure le si stavano avvicinando sempre di più, circondandola e bloccando ogni possibile via di fuga. Ormai spalle al muro, sentì la speranza che la abbandonava completamente. Non riusciva a sentire altro se non il suo respiro ansimante, che ovattava le urla e i forti rumori tutt'intorno. La vista annebbiata dalle lacrime che avevano iniziato a cadere incessanti. Le gambe tremanti. Il corpo livido e stanco. Si rannicchiò per terra, un ultimo disperato tentativo di nascondersi. Chiuse gli occhi più che potè: se lei non li avesse più visti, magari loro non avrebbero più visto nemmeno lei. Buio totale. Una voce in lontananza che la chiamava. Viola.. Viola...

"Viola..."

Spalancò gli occhi. Aveva il fiato corto.

"Viola, stai bene?"

Sentì la mano della madre che le accarezzava la fronte imperlata di sudore. Si guardò intorno e il cervello lentamente elaborò ciò che vedeva. La sua stanza. Le ci volle qualche secondo per iniziare a tranquillizzarsi.

"Che ore sono?" borbottò stiracchiandosi, cercando di simulare un tono di voce che fosse il più disinvolto possibile.

"Quasi le sette." Lo sguardo cercava insistentemente quello di Viola. "Un altro incubo?"

"Sì." I suoi occhi finalmente incontrarono quelli apprensivi e pensierosi della madre. "Sto bene."

L'espressione della donna di fronte a Viola da preoccupata si fece visibilmente dubbiosa.

"Davvero, mamma" la rassicurò, abbozzando un sorriso assonnato che, dopo qualche esitazione, venne ricambiato.

"Vuoi fare colazione? Papà e Lou stanno ancora dormendo."

"Vai tu. Io cerco di dormire un altro po'."

"D'accordo" e così dicendo la strinse in un abbraccio, per poi lasciare la stanza.

Viola sapeva perfettamente che non sarebbe riuscita a riaddormentarsi. Era ancora troppo agitata. Negli anni aveva dovuto imparare a fare i conti con i suoi incubi. All'inizio la paura era insostenibile. Da piccola si svegliava in preda al panico, incapace di distinguere la realtà dalla fantasia; scoppiava in lacrime, inconsolabile. Allora ci voleva più di qualche parola dolce e rassicurante da parte dei genitori per farla riaddormentare.

Con il tempo si era allenata, in un certo senso, c'erano delle volte in cui riusciva quasi subito a rendersi conto di essere solo vittima di un brutto sogno; ma in notti come quella, quando l'incubo era così vivido e dettagliato, tale consapevolezza era una mera utopia. In questi casi ci voleva tempo prima che riuscisse a liberarsi completamente dell'ansia e del terrore che le erano rimasti addosso. Era come se il suo cervello non riuscisse a lasciar andare quel trauma... Forse non ci sarebbe mai riuscito. Per una volta, la sua brillante immaginazione le si ritorceva contro.

Viola però non avrebbe permesso a quel tetro inizio di rovinare il resto della giornata. Si scrollò per cercare di allentare la tensione. Alzandosi, aprì la finestra e sistemò il letto sfatto, con le mani ancora scosse da un leggero tremolio. Mentre attraversava la stanza, si accarezzò il braccio, raggiungendo con le dita la cicatrice sopraelevata.

"Il tempo guarisce tutte le ferite."

Quante volte l'aveva sentito dire. Ma ci sono cicatrici troppo profonde per essere smussate.

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