Incontri lontani

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Il ciondolo della collana ondeggiava leggero da una a parte all'altra: le dita di Viola lo tenevano sospeso a pochi millimetri da terra, unica nota colorata in quel tappeto di fili d'erba che si estendeva a perdita d'occhio. La ragazza lo osservava in silenzio, nella speranza, forse, che quelle minuscole maglie dorate le rivelassero improvvisamente quello che le stava capitando. Aveva perso il conto, ormai, delle volte in cui aveva passato in rassegna quanto accaduto la sera precedente: un flebile scintillio che, in un battito di ciglia, si era trasformato in quell'esplosione di luce che le aveva sconvolto la vita. Come poteva un tale potere celarsi in un oggetto all'apparenza così delicato?

Viola, nel flusso di coscienza che la stava inondando, era arrivata a pensare addirittura di sbarazzarsene, o peggio, di distruggerlo. Una piccola parte di lei, probabilmente quella che ancora conservava un briciolo di razionalità, comprendeva che sarebbe stato meglio allontanarsi da quella collana il prima possibile. Eppure, tutte le risposte che stava cercando si nascondevano proprio lì dentro e Viola era stata completamente rapita dal fascino di tale mistero. In qualche modo, anche se non lo comprendeva appieno, sentiva di essere stata lei a risvegliare qualsiasi cosa si celasse nel ciondolo: doveva essere lei, dunque, a risolverne l'enigma.

Pensa Viola, pensa.

Si passava e ripassava il ciondolo da una mano all'altra.

Non aveva altri elementi su cui basare le proprie ricerche, se non i pochi che aveva potuto raccogliere nelle ore precedenti. Distolse lo sguardo dalla collana per posarlo sul sentiero a una manciata di passi da lei. Rispetto a quando era arrivata, la città si stava animando sempre più: allegre famiglie, coppie di anziani, ragazzi schiamazzanti e avventori solitari affollavano ora le strade del parco. Viola aveva un'idea in mente – un'idea da cui qualcuno meno coraggioso di lei l'avrebbe fortemente messa in guardia – e per metterla in atto le serviva un luogo decisamente più appartato. Nascose la collana in tasca, recuperò l'impermeabile che si era tolta quando c'era Peter e si incamminò, nella direzione opposta rispetto alla maggior parte dei passanti. Mentre camminava, si soffermò un attimo sull'indumento arancione che teneva appeso al gomito e che lei, poche ore prima, aveva sperato potesse renderla invisibile agli occhi del mondo.

"Niente di più inutile" borbottò spazientita, manifestando il proprio fastidio con un sospiro. Un attimo dopo, però, non poté fare nulla per nascondere l'abbozzo di un sorriso ironico, al pensiero di quel ragazzo che, tanto sfacciatamente, l'aveva colta in fallo. Viola non aveva mai conosciuto nessuno in grado di innescare in lei emozioni tanto contrastanti.

Ma non era quello il momento per soffermarsi su simili sciocchezze: una cancellata rossa in lontananza bastò a riportare bruscamente Viola alla realtà. Accelerò il passo, superò svelta la ringhiera di ferro e si prese un momento per contemplare la meraviglia che aveva davanti. Appena fuori la zona centrale del parco, quella più conosciuta dai cittadini e quindi la più frequentata, si nascondeva quella radura silenziosa ma profondamente familiare, abitata da un albero solitario e da quella che era stata, un tempo, la casa del custode.

Viola lo aveva conosciuto, il custode. Era ancora una bambina e, durante una passeggiata con la sua famiglia, lei e suo padre avevano fatto una piccola deviazione rispetto al sentiero e si erano imbattuti proprio in quella casa: Viola ricordava di essersene innamorata all'istante e di aver solennemente giurato al padre che, un giorno, sarebbe andata a vivere lì, circondata dalle fate degli alberi.

"Perché aspettare? Questa casa è troppo grande per un vecchio solo come me..."
E poi, sussurrando in direzione della bambina: "Non ce la faccio a curare tutte le fate da solo."

Il custode, un anziano signore la cui pelle aveva lo stesso colore della corteccia – o almeno così lo descrisse la piccola Viola poco dopo a sua madre – li aveva sentiti avvicinarsi e si era affacciato per controllare, non potendo fare a meno di rimanere incantato da quella bimba così piccola, ma con un'immaginazione così grande. A quel punto, il Signor Freeman li aveva invitati a entrare, raccontando loro la sua storia attraverso i mille ricordi incastonati nelle mura di quella casa. Inutile dire che la piccola Viola aveva vissuto per settimane nell'euforia di quell'emozionante incontro e, ogni volta che era possibile, pregava i suoi genitori di andare a trovare il Signor Freeman e la sua meravigliosa "casa delle fate", per citare le parole della bimba stessa.

Ormai Viola non andava più tanto spesso in quel posto, ritenuto troppo isolato dai suoi amici, ma questo non lo rendeva meno speciale ai suoi occhi. Era uno di quei posti in grado di riempirla di leggera euforia e, al contempo, di un velo di malinconia. Erano passati anni ormai dalla morte del Signor Freeman e nessuno aveva più preso il suo posto, non in quella casa almeno. Forse era anche per questo che Viola vi faceva ritorno sempre meno volentieri: la vista di quella dimora, un tempo piena di vita e ora ridotta a una mera grande scatola dei ricordi, vuota e in balia del tempo, le faceva stringere il cuore. Eppure, una parte di esso sarebbe sempre appartenuta a quel posto. Tanti, troppi pensieri le affollavano la mente; il cuore, al contrario, sembrava essere completamente assorbito dall'energia da cui Viola si sentiva circondata. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo il perché... d'altronde, stava iniziando a capire di avere un debole per quello che la mandava in confusione.

Viola si concesse un ultimo sguardo carico di ricordi... sì, quello sarebbe stato il posto perfetto. Sistemò le sue cose ai piedi della possente quercia che si stagliava verso il cielo e appoggiò le schiena contro la corteccia ruvida. Fece un profondo respiro, gli occhi chiusi, come per assorbire quanta più energia possibile da quello che era per lei, in quel momento, l'unico sostegno possibile. Si concentrò e recuperò il filo di pensieri che l'aveva condotta fin lì. Allungò una mano per prendere il cellulare dallo zaino, mentre con l'altra sfilava la collana dalla tasca.

"Cosa stavo facendo ieri quando questo aggeggio ha iniziato a scintillare?" Ragionava tra sé e sé, come faceva sempre quando aveva bisogno di concentrarsi. "Leggevo. Leggendo di Anna che si faceva la tinta, i miei capelli hanno cambiato colore. Potrebbe essere solo una coincidenza. Una coincidenza molto bizzarra, senza dubbio, ma pur sempre una coincidenza. Oppure no."

Viola non era per niente sicura che quello fosse il modo giusto per capire cosa ci fosse di strano in quella collana, né tantomeno era certa di poterla controllare. Sentiva però di doverci provare.

Non aveva altra scelta.

Digitò qualcosa sullo schermo del cellulare, fino ad aprire un file che aveva scaricato nella sua libreria. Fece un ultimo, profondo respiro. Strinse più forte la catenina della collana, con il ciondolo che pendeva dalla sua mano. Fissò il cellulare e cominciò. Cominciò a leggere.

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