Sottosopra

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La campana suonò otto rintocchi, non risparmiando gli abitanti del quartiere nemmeno in un pigro sabato come quello. Viola tuttavia non aveva ancora intenzione di abbandonare il tepore del letto, per cui riuscì solo a muoversi lentamente per sistemare il cuscino su cui aveva dormito. Era ancora troppo addormentata per rendersi conto che, in realtà, il morbido guanciale era, come al solito, adagiato contro il muro, dove era stato sistemato la sera prima, mentre la testa si trovava dal lato opposto. Viola, con il braccio penzolante che sfiorava lo scendiletto, iniziò ad aprire impercettibilmente gli occhi. Dopo pochi istanti di iniziale inibizione, dovuta ai sensi ancora intorpiditi, prese a mettere pian piano a fuoco ciò che vedeva, corrucciando sempre più la fronte: tutto le sembrava al posto sbagliato. Perché il tappeto era da quel lato della stanza? E che cosa ci faceva una scatola sul tappeto? No, non era una scatola. Osservando con maggiore attenzione, riuscì a identificare nella sagoma squadrata un libro, che giaceva aperto per terra.

Il libro per terra. Si mise a sedere, realizzando finalmente perché ogni cosa le pareva fuori posto: aveva dormito al contrario. In quel momento gli avvenimenti della sera precedente le caddero addosso con la medesima violenza con cui lei stessa era stata scaraventata sul letto.

Ipotizzò di averlo solamente immaginato, ma quando raggiunse il collo con una mano, afferrando il ciondolo, ebbe la conferma che non si trattava dell'ennesimo brutto sogno. Dopo vari vani tentativi di aprire il gancio della catenella, si alzò per dirigersi verso il comò, sopra al quale era appeso uno specchio. Il suo unico pensiero era riuscire a togliersi quella collana il prima possibile.

Fu solo allora, quando finalmente focalizzò la sua immagine riflessa nello specchio, che prese coscienza di quanto fosse effettivamente accaduto. Ma com'era stato possibile? Nessuna spiegazione logica, nulla che avesse un minimo senso. Niente.

Si muoveva freneticamente da un punto all'altro della stanza, smarrita, confusa. Un vociare vicino la riportò alla realtà: qualcun altro in casa era sveglio. Quel poco di razionalità che ancora serbava la convinse che la cosa migliore da fare era passare inosservata; il che, nel suo stato attuale, rappresentava un obiettivo alquanto arduo. Aveva bisogno di uscire da quella stanza, che aveva un aspetto improvvisamente claustrofobico, per trovare un posto in cui pensare. Nel farlo, le serviva uno stratagemma per evitare domande a cui lei stessa stava ancora cercando di dare risposta. Nessuno oltre lei doveva sapere cosa fosse successo in realtà, almeno finché non ne avesse saputo di più.

Sentiva l'irrefrenabile necessità di rifugiarsi in libreria, ma quello era il posto che, su tutti, andava evitato con maggiore premura: lì avrebbe trovato la nonna e con lei celare anche il più piccolo segreto sarebbe stato utopistico. In ogni caso, il primo ostacolo da superare erano i suoi: doveva riuscire a lasciare la casa a loro insaputa perché, dal momento che l'avevano vista rientrare normalmente la sera prima, una qualsivoglia scusa sarebbe stato inverosimile.

Si rivestì nel modo più silenzioso possibile e inforcò il suo zaino: non le rimaneva che sgattaiolare fuori di nascosto, avrebbe pensato poi a eventuali giustificazioni. L'ultimo cavillo rimasto era capire come coprirsi... un turbante? No, troppo evidente. Un giubbotto? Nemmeno, sarebbe stato fuori stagione. Un cappello? Sì, un cappello sarebbe stato perfetto! Doveva solo riuscire a raggiungere l'ingresso furtivamente e prenderne uno dal guardaroba. Tenendo lo sguardo vigile, passò davanti alla camera di Lou, accertandosi che stesse ancora dormendo. La porta dei genitori, invece, era socchiusa e non osò affacciarsi per timore di essere vista. Proseguì con ancora più cautela. Senza troppi intoppi, arrivò al disimpegno, dove si trovava il guardaroba. Aprì delicatamente l'anta centrale, ma nonostante ciò il cardine cigolò comunque: un rumore minimo, ma che risuonò nel silenzio della casa ancora addormentata. Viola avvertì dei passi in avvicinamento. Non sapendo cos'altro fare, provò disperatamente a giocare d'anticipo.

"Mamma?" tentò. Nel frattempo, con la mano libera arraffò l'indumento più vicino e se lo mise addosso.

"Ah Viola, sei tu." Aveva indovinato: la madre era quasi giunta al disimpegno. "Come mai sei già..." tentennò alla vista della figlia, mentre Viola sentiva ogni briciolo rimasto di speranza abbandonare il suo corpo.

"Che cosa ti sei messa?"

Solo allora Viola abbassò lo sguardo, notando l'impermeabile arancione di suo padre che la copriva dalla testa alle ginocchia. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, mentre la madre la fissava attonita.

"Magari pioverà, non si sa mai... di questi tempi è bene essere preparati al peggio!" e mentre pronunciava queste parole, un caldo raggio di sole attraversò la finestra e le illuminò il viso.

"Devo uscire oggi, non ti ricordi? Gita tra ragazze. Ci vediamo dopo, ciao!" e con queste parole scivolò fuori, richiudendosi bruscamente la porta d'ingresso alle spalle e lasciando la mamma a metà tra l'incredulità e lo sconcerto.

Le gambe avanzavano così velocemente che in pochi secondi raggiunse la fine della via, imboccò una traversa e si appoggiò al muro per riprendere fiato. Forse era riuscita a non destare troppi sospetti, nonostante il tono di voce al limite dell'isteria e la busta di plastica, che suo padre spacciava per impermeabile, in cui era avvolta. Scostò la manica rigida e pesante per guardare l'orologio: era ancora presto, ma la città era già in movimento. Fortunatamente, i passanti erano o troppo di fretta o troppo abituati alle stranezze per fare caso a lei.

Il piano era sparire per tutta la mattina; al rientro, avrebbe dato la colpa del suo nuovo aspetto all'improvvisa necessità di un cambio drastico. Riusciva già a immaginare i suoi che facevano appello alle stravaganze adolescenziali, o cose simili...
Quello che le rimaneva da stabilire, però, era dove nascondersi. Non poteva continuare a girovagare senza meta, aumentando esponenzialmente le possibilità di incontrare qualche conoscente. No, le serviva un posto in cui potesse appartarsi e riflettere. Aveva tanto su cui riflettere...
Sì avvicinò a uno stand ambulante per comprare una ciambella, ritrovandosi davanti a una grande cancellata: un ingresso laterale del parco. Ma certo, come aveva fatto a non pensarci prima. Quale luogo le avrebbe giovato maggiormente del suo posto felice?

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