Tacite intese

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Era riuscita a schivare quasi tutti gli astanti, sistemandosi in un angolo solitario nel cuore del parco. Controllò di essere inosservata e, sentendosi fuori pericolo, si sedette sull'erba rigogliosa e leggermente umida di rugiada; si tolse il cappuccio dell'impermeabile e ne allentò la chiusura, lasciandosi travolgere dalla fresca brezza che accompagnava il torrente poco lontano.

Le si prospettava qualche ora di agitata meditazione: paradossalmente, adesso che aveva trovato una sistemazione tranquilla, i pensieri presero di nuovo a confondersi, intrecciando realtà e fantasia, dubbi e certezze. Il raziocinio continuava a ripeterle che la sua mente aveva inventato tutto, che quell'assurdo incidente era stato solo una suggestione da imputarsi all'immaginazione fomentata dalla stanchezza. D'altronde, quante volte nella sua vita aveva lasciato che la fantasia colorisse la realtà, rendendone i contorni più indefiniti ed equivocabili...

Tale teoria, però, non poteva trascurare un'imprescindibile evidenza: l'immaginazione, anche la più prepotente, la più furiosa, non può modificare neanche di un millimetro il reale andamento delle cose. I capelli di Viola erano castani dal giorno in cui era venuta al mondo; come spiegare, allora, l'improvviso mutamento che li aveva resi dorati, chiari almeno quanto quelli di Betty?

Si accovacciò in avanti e adagiò la fronte tra le mani; chiuse gli occhi e per un po' rimase così, in attesa di qualcosa che nemmeno lei avrebbe saputo definire.

Quando riaprì gli occhi, a metà strada tra lei e il terreno vide oscillare la catenella dorata. Si drizzò di nuovo a sedere e, con la calma che non era riuscita a conservare quella mattina, riuscì a sfilarsi delicatamente la collana, passandosela attorno al collo e poi da una mano all'altra. La osservava con occhi nuovi: supponeva che la soluzione dell'enigma si celasse tra lo scintillio di quelle incastonature, ma come scovarla rimaneva un mistero.

Il neonato flusso mentale che stava prendendo il via nella mente di Viola venne prematuramente interrotto.

"Guarda un po' chi c'è..."

Viola sentì il sangue che le si gelava nelle vene. Il suo primo istinto fu quello di nascondere la collana in tasca.
Le probabilità erano minime, eppure, tra tutte le persone che poteva incontrare, le si stava palesando di fronte l'unica che sicuramente non avrebbe avuto la lucidità di affrontare. Si voltò lentamente verso la direzione da cui proveniva la voce.

"Oh, ciao!" disse allegramente, cercando di coprire la voce strozzata con un colpo di tosse.

Respira Viola.

"Stai protestando contro la primavera?"

"Come dici?"

Peter soffermò lo sguardo prima sull'impermeabile che le ricopriva le spalle e poi sulla maglietta leggera che lui indossava, al pari della maggior parte delle persone in quella tiepida giornata di maggio.
Viola aveva a disposizione solo la bozza di una scusa, il grezzo schizzo di un pretesto, che comunque non sarebbe riuscita ad esprimere con convinzione in simili circostanze. Le serviva una risposta, subito.

"Oh, questo... beh, diciamo piuttosto che sono sotto copertura."

Viola, smettila di dire stupidaggini e cambia argomento.

"Un po' troppo appariscente per una missione segreta."

"Che ne dici, era meglio evitare l'arancione fluo?"

"Probabile."

Scoppiarono a ridere e, fortunatamente per lei, Peter non notò che la risata della ragazza era più nervosa che divertita.

Per quanto il buon senso le suggerisse di porre fine a quella conversazione il prima possibile, Viola fece l'esatto opposto.
Diede dei colpetti sul prato al suo fianco e chiese: "Ti unisci a me?"
Peter guardò l'orologio, poi Viola, spostò lo sguardo verso la strada e poi di nuovo su Viola. Alla fine cedette, mettendosi a sedere a qualche centimetro da lei. La vide perdersi con lo sguardo nello scorrere del torrente a pochi passi più avanti, mentre il fruscio dell'acqua riempiva il silenzio. Viola sembrava appartenere a quel posto.

"Vieni qui spesso?"

Lei annuì, senza mai spostare lo sguardo.
"Da quando sono piccola." La voce era sognante, carica di una dolcezza infinita.
Allora Peter seguì la direzione dello sguardo di lei e si soffermò su quanto li circondava.

Gli alberi si stagliavano in tutta la loro altezza, immobili eppure così pieni di vita, delineando i contorni frastagliati del cielo. I colori erano intensi, vividi, privi di qualsiasi percezione di artificiale alterazione. La quasi totale assenza di rumori urbani permetteva alla natura di esaltare il suo sottofondo, composto da fruscii e richiami, anche minimi, che si univano a formare una sinfonia. I piccoli e variegati abitanti del parco erano impegnati in un'animata cooperazione: ogni singolo movimento, anche il più impercettibile, aveva uno scopo ben preciso e un valore inestimabile; nonostante ciò, tutto pareva muoversi a rilento, in paragone alla frenesia della città. I palazzi che si affacciavano sullo sfondo, sembravano così lontani, così estranei: non c'era posto per loro in quel ritaglio di spensieratezza. Tutti i sensi erano coinvolti ed estasiati.

Peter non riusciva a spiegarselo: abitava in quel quartiere da quando era nato, aveva attraversato il parco in tantissime occasioni; eppure, quella mattina, era come se lo stesse vedendo per la prima volta.
Riportò lo sguardo sulla ragazza accanto a lui. "Bellissimo" sussurrò.

Viola si voltò per sorridergli e i loro sguardi si incontrarono. Il silenzio calò ancora una volta ed entrambi iniziarono a pensare a qualcosa da dire: niente di più inutile.

Peter fu il primo a ritrovare la parola, e con essa la sua solita ironia:

"Questi fanno parte del travestimento?" Apparentemente senza darci troppo peso, le sfiorò una ciocca dei capelli dorati. Viola si soffermò su quel tocco e Peter si affrettò ad ritrarre la mano. Simulò una risata per alleggerire il palpabile imbarazzo, e Viola si ritrovò di nuovo a dover elaborare qualcosa di sensato da dire.

"È una lunga storia. Non molto lunga in realtà, ma non è questo il punto. L'idea era quella di passare inosservata, ma il mio non deve essere un gran travestimento se mi hai riconosciuta lo stesso..." L'ultima frase la pronunciò come se stesse pensando ad alta voce, non curante del fatto che Peter riuscisse a cogliere anche quel flebile mormorio.

"Istinto" rispose lui, alzando le spalle in segno di disinvoltura.

Anche se non borbottava più in sua presenza, a differenza di quella mattina in corridoio, qualcosa in Viola le impediva di essere completamente disinvolta con Peter nei paraggi. Mj e Betty già stravedevano per lui: erano state ben contente di accoglierlo quando, nei giorni successivi a quel primo, gelido incontro, aveva proposto di passare insieme l'ora di pranzo. A dispetto di ogni previsione, Peter si era dimostrato tutt'altro che pretenzioso o arrogante. Nonostante la reticenza di Viola, la quale persisteva nel credere che Peter talvolta assumesse degli strani comportamenti - come quando si eclissava senza alcun preavviso né spiegazione - nemmeno lei poteva fare a meno di ammettere che fosse una piacevole compagnia. Peter aveva raccontato alle ragazze che, per questioni familiari, aveva perso un anno di scuola e che quindi i suoi compagni si erano già tutti diplomati. Quindi, in buona sostanza, era solo. I precedenti storici avevano insegnato a Viola che spesso, dietro alle persone meno popolari, si nascondono ottimi amici.

L'orologio di Peter fu di nuovo oggetto della sua attenzione.
"Ora devo proprio andare."

"Di già?" 

Il ragazzo le lanciò un'occhiata compiaciuta e lei si affrettò a correggersi: "Cioè, intendevo, c'è qualcuno che ti aspetta?"

"In un certo senso." Fece un sorriso divertito. "È una lunga storia."

Viola annuì e sorrise a sua volta, cogliendo il sottinteso riferimento. Ci fu un ultimo incrocio di sguardi, poi lui imboccò a passo svelto il sentiero che portava verso l'uscita; separandosi, entrambi presero tacitamente atto dei rispettivi segreti.

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