8

626 28 1
                                    

Ha buttato la cicca fuori dalla finestra e mi ha tolto l'asciugamano dai fianchi, rivelando il centro del mio piacere accesso e supplicante.

Stringe i miei capelli bagnati, gli piace toccarli mentre mi bacia. Mi fa stendere sul letto per ricominciare a possedermi in tutta comodità.

Mentre pratichiamo il nostro rapporto, stavolta l'uno davanti all'altro, mi dà finalmente il permesso di toccarmi mentre mi penetra, stretto nel secondo profilattico della nottata. Guardandolo, mi sento già appagato. La vista dei suoi addominali scolpiti che si contraggono ad ogni spinta non ha prezzo, insieme alla sua faccia virile e godereccia.

Nella penombra di un contesto senza stelle, i tatuaggi sul suo busto e sulle sue braccia si confondono nel buio, formando dei ghirigori confusi, ai miei occhi. È bello, mi sta piacendo masturbarmi guardandolo e sento di poter venire fra meno di un minuto.

"Ste- ah..."

Mi tira su le gambe e le allaccia dietro la sua schiena, arcuando il mio corpo contro il materasso. È qui che mi lascio andare, la mia mano slitta su e giù velocissimamente e butto fuori, con un grande gemito liberatorio. Il mio seme mi imbratta la linea tra la pancia e il petto, lasciando Stefano abbastanza stupito.

"Non venivi da un po', eh..." commenta, ipereccitato. Mi raggiunge anche lui dandomi le ultime, profonde e prepotenti spinte. Per poi crollare a fianco a me.

Mi sento bene, non mi sentivo così da un sacco di tempo. Talmente appagato da scivolare nel sonno velocemente, cullato dai suoi respiri accanto ai miei.




Mi ha permesso di restare a dormire anche stavolta. Ho capito che gli piaccio, è evidente. Non in modo romantico, sentimentale e stronzate varie, gli piaccio come uomo, o come giostra. E io spero proprio che possa diventare un mio cliente abituale.

Stamattina, mentre mi decido a rivestirmi per lasciare il suo appartamento, lo trovo di nuovo a pensare in un angolo della casa, sigaretta in bocca e bicchiere di succo nell'altra mano.

"Io vado. Ci si vede..." dico, un po' incerto.

"Non credo che ci rincontreremo. Me ne vado da questo posto" risponde lui, ed è come se mi fosse arrivata addosso un'ingiusta doccia fredda.

"Sì? Perché?" faccio il vago, ma sono davvero curioso.

Stefano prende un respiro e mi guarda, come se stesse decidendo di dirmi questa cosa. "Questo skuoll non è più un posto sicuro. Una linea di Predoni sta arrivando da Montegranaro e, sicuro, farà tappa qui".

"Montegranaro... Noi siamo a sud di Macerata, faranno il panico di sicuro!" mi allarmo, in ansia. "Come... come si può fare?"

"Io non ti ho detto niente."

"No, Stefano, ti prego. Non puoi lasciarmi qui. In-insomma so che non ci conosciamo molto, ma-" lo prego allora, in preda al panico. "Sappiamo che cosa fanno quei mostri schifosi! Ammazzano e-e stuprano e rovinano tutto quello che incontrano!"

"Non c'è niente da rovinare qua, tutto è già spacciato di suo, Elìa" risponde tranquillamente. "Il più della gente è malata terminale e bruciare questo posto sarebbe solo fare un po' di pulizia in questa regione d'Italia."

"No, non puoi pensarla così..." il sangue mi si gela nelle vene. Mi tremano le ossa. "Ci sono bambini, madri, donne incinte..."

Stefano fa spallucce. "Io non ho alcuna influenza sull'Amministrazione. Sono tutti spacciati."

Sto per avere una crisi di nervi. "Dove- quanto tempo rimane? Dove andrai, tu?"

"Non sono cose che ti riguardano". Butta l'ennesima cicca di fuori e mi guarda boccheggiare. "Adesso vattene."

"Stefano, ti prego, non voglio restare qui. Non voglio morire, cazzo! Sei un dannato nazista!"

"Sapevo che saresti stato una seccatura. Vattene, ho detto".

Cuore di plasticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora