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Devo dire che, in effetti, ho imparato che "odiare" e "sopportare" sono due parole ben distinte, slegate fra loro.

Odio Stefano ma lo sopporto, specialmente quando mi lancia in faccia le barrette proteiche per farmi mangiare. Le prende dalle sue razioni e io non lo ringrazio mai, ovviamente. Sono rancoroso, lo so, considerato il mondo in cui viviamo neanche avrei dovuto prendermela così tanto – ma non ci posso fare niente, sono sensibile all'idea di abbandono e Stefano, nonostante l'intimità che abbiamo condiviso, non si è fatto scrupoli a lasciarmi indietro. Ma adesso basta, so che devo per forza metterci una pietra sopra o questa storia non va avanti. Cerco di ricordare sempre a cosa sono scampato e spesso mi basta per pensare positivo. O quasi.

"Ce la fai ad alzarti?"

"Non mi toccare". Mi tiro in piedi con una fatica bestiale, neanche avessi cent'anni. Stefano ritrae la mano e ricomincia a farsi gli affari suoi.

Mi dà fastidio, non voglio più che mi metta le mani addosso in modo random perché, dal momento della mia fuga dallo skuoll, ho deciso che non sono più una puttana. Non so come farò a guadagnarmi da vivere una volta arrivati... beh, dove non lo so. Ma qualcosa mi inventerò, dato che ho una certa voglia di sopravvivere.

Il treno merci si è fermato al confine con l'Abruzzo. È passato un giorno dalla partenza e già dobbiamo scendere. Le gambe mi fanno ancora male ma devo trovare la volontà di camminare, a quanto pare.

Finora, il treno ha praticamente costeggiato la riviera adriatica. Mi chiedo se ci sia un posto dove andare a stare senza essere condannati a spostarsi per sempre, così lo chiedo proprio ad alta voce: "Dove vuoi andare?"

Intorno a noi, in questa stazione fatiscente e desolata, altri silenziosi civili appena scesi si sparpagliano in varie direzioni. Stefano cammina a grandi falcate fuori dai binari, ma alla mia domanda si ferma e si gira.

"Giulianova è a pochi chilometri da noi. Non è ancora convertita in stato autonomo, è un porto aperto di mare. Lì potremmo trovare rifornimenti, riorganizzarci."

"Noi? Quindi vorresti un compagno di viaggio" incrocio le braccia al petto, per provocarlo.

Stefano butta gli occhi al cielo, si volta e ricomincia a camminare. "Tra i due lo svantaggiato sei tu, quindi vedi di non tirartela. Come avrai capito, sono uno che apprezza il silenzio. Finché non cominci a rompermi le palle con rancori e lamentele, puoi seguirmi, altrimenti addio."

Testa di cazzo. Ma ok, devo ammettere almeno a me stesso che l'idea di essermi ufficialmente aggregato a lui per il viaggio mi consola appena. Dove andrei da solo? Ho un senso dell'orientamento pari a quello di un pesce rosso nella boccia.




Sono due ore che camminiamo e io sto seriamente cominciando ad avere paura di perdere le gambe. Mi fanno un male infernale, zero antidolorifici e manco mi posso lamentare. Stefano procede spedito in mezzo a questo niente fatto di asfalto arso dal sole e rottami di ogni genere. Tutto è rimasto come nell'immediato dopoguerra, solo le linee ferroviarie e le città stato vengono modificate e ancora mantenute attive. Il resto dell'Italia è solo deserto e scheletri di case, macchine rotte in periferia e in campagna.

"Possiamo fermarci un momento?" dico alla fine. Sto schiattando dalla fatica e dalla sete, e finalmente Stefano lo capisce. Sbuffa, recupera una borraccia di latta dalla tasca esterna del suo zaino e me la lancia.

"Bevi. È l'ultima goccia d'acqua che ho."

"...Grazie" stavolta gliel'ho proprio dovuto dire. Trangugio avidamente il rivoletto d'acqua e mi rassegno al fatto che, se non troviamo presto una fontanella, cominceremo a soffrire mortalmente il caldo e la sete.

Le "fontanelle" in questione non sono come le graziose, prebelliche distributrici gratuite. Sono accrocchi di ferro ben amministrati e a pagamento; si trovano solo nelle città-stato che si possono permettere dei pozzi artesiani ancora potabili. Nel resto d'Italia, se sei povero, prendi la ciotola e bevi dai rubinetti delle cisterne cargo tutt'altro che sanificate, a tuo rischio e pericolo.

"Siamo arrivati" dice Stefano.

Giulianova ci accoglie praticamente blindata. Le mura sono anche più alte dello skuoll da dove vengo, e per entrare dobbiamo sottoporci a uno sbattimento totale: documento d'identità, veloce visita medica con tanto di interrogatorio. Ma quando Stefano mostra il tesserino dell'Amministrazione a cui appartiene, ci lasciano finalmente entrare tranquilli.

Mentre camminiamo per le strade assolate della città in riva al mare, mi rivolgo al mio compagno di viaggio, in barba alla sua regola del silenzio: "Mi picchi se ti chiedo ancora se sai dove cacchio stiamo andando? Sono esausto e anche tu lo sei."

Il sudore imperla la fronte e il collo abbronzato di Stefano. Coi suoi capelli nerissimi sotto al sole a picco deve star soffrendo parecchio. Io ho la pelle tutta arrossata e una voglia matta di attaccarmi a una fontanella e non staccarmi più.

Per concludere la conversazione, mi annuncia: "Dormiremo in hotel. Appena raggiunto troveremo acqua e cibo." 

Cuore di plasticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora