Capitolo VI

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Dante si sciacquò il viso e fece un bel respiro profondo. Non riusciva a credere che stesse succedendo di nuovo: si era innamorato di una persona ed era troppo spaventato dall'ipotesi di essere respinto per dichiararsi. Con Beatrice, però, le cose erano state molto più semplici: aveva avuto anni per dedicarle sonetti ed era sicuro che le piacessero gli uomini. Ma con Virgilio, invece, oltre al poco tempo a disposizione prima di essere nuovamente separati per l'eternità, si aggiungeva il terrore di una reazione omofoba. Il fiorentino continuava a ripetersi che più di una volta il suo duce aveva palesato il suo favore, se lo si può così definire, per le relazioni omoerotiche, ma la mancanza di salde certezze lo spingeva a dubitare e ad esitare.

"Ma che ce sei cascato ner cesso?" chiese il mantovano fuori dalla toilette.

"No, arrivo" gli rispose asciugandosi in fretta e furia la faccia con le salviette.

Una volta uscito sul corridoio, Dante si ritrovò davanti ad un Virgilio dall'aria cruciata e che tamburellava con le dita su una gamba. Nei suoi occhi brillava la stessa fiamma che il sommo poeta gli aveva visto ardere davanti a Minosse e a Catone.

"Duce mio, è successo qualcosa?" domandò preoccupato il fiorentino.

"Dovemo parla'. Cioè, te devo parla' io" disse quasi farfugliando il poeta latino.

"Ma è successo qualcosa?"  si preoccupò l'altro.

"No. Cioè, sì. Me sento un po' a disagio a parlarne, te devo di' 'a verità. Nun so molto bravo co' 'ste cose, sai che i sentimenti nun so' er mio forte" continuò Virgilio sempre più agitato.

"Il mio maestro mi ha scoperto, ormai è troppo tardi per tirarsi indietro" pensò Dante andando nel panico.

"Er fatto è che nun so come dittelo, anche se praticamente mezzo ardilà me 'sta a scassa' pe' mette 'e cose 'n chiaro" tergiversò ancora il mantovano.

"Senti, duce mio", lo interruppe il fiorentino in un momento di coraggio, "mi dispiace se ti ho messo a disagio con tutta questa storia. Il fatto è che l'ultima volta ero talmente convinto di amare Beatrice che non mi sono soffermato su quello che provavo davvero. Poi, in Paradiso, con Beatrice sempre a portata di cielo, ho realizzato che non era lei che amavo: eri te che mi mancavi in ogni singolo istante, eri te che volevo sempre al mio fianco, erano le tue battute che volevo sentire ad ogni ora del giorno e della notte. E ti chiedo ancora scusa se questo ti ha messo a disagio e...".

Dante si sbloccò, spaventato dall'effetto che le sue parole avevano avuto sul suo compagno. Virgilio se ne stava fermo e immobile, con gli occhi lucidi e sbarrati, con un'espressione a metà tra lo stupore e qualcosa che il fiorentino interpretò come terrore, era diventato paonazzo in volto e sembrava quasi che stesse per svenire. Ma poi scoppiò a ridere sonoramente, offendendo profondamente Dante.

"Che deficiente, nun c'hai capito un cazzo manco mo!", esclamò Virgilio incredibilmente sollevato, "Nun te 'sto a respigne!".

"E questo cosa significa?" chiese stizzito il sommo poeta.

"Significa che provo 'o stesso pe' te!".

Dante rimase a bocca aperta e per un momento temette di perdere i sensi: non riusciva a credere alle sue orecchie e sentiva il suo cuore esplodergli nel petto. Si avvicinò lentamente al suo compagno, chiedendosi se fosse tutto soltanto un sogno. Virgilio, abbandonate tutte le incertezze e senza aspettare un secondo di più, lo prese per mano e lo guardò dritto negli occhi.

"Pe' quanto m'hai fatto veni' dumila infarti in manco 'na settimana", iniziò il poeta latino, "anche se a volte te comporti come un ragazzino de du' anni e er te Narratore è 'na rottura de coglioni assurda, ho passato gli ultimi otto secoli a spera' de resenti' 'a voce tua e de sta' co' te pe' 'n altro po', anche solo pe' du' giorni, pe' rivedette e damme 'na carmata. Quei poracci de li amici mia se so' sorbiti decenni de piagnistei e...".

Virgilio non riuscì a finire di parlare perché Dante gli si gettò al collo e lo abbracciò forte, le lacrime rigavano le sue guance in preda alla commozione.

"Mi sei mancato da morire!" pianse il fiorentino ancora incredulo.

"Pure te me sei mancato!" sussurrò il mantovano.

I due si guardarono negli occhi tenendosi stretti, poi Virgilio si chinò e baciò quelle labbra che aveva anelato così tanto. Rimasero così a lungo, fermi l'uno nelle braccia dell'altro, anche se per loro l'eternità non sarebbe bastata a riempire il vuoto che l'assenza dell'amato aveva lasciato e avrebbe lasciato al termine di quel viaggio. Alla fine si staccarono e, tenendosi per mano, si avviarono verso l'uscita.


Nel frattempo, nel Limbo, mezzo mondo classico, per quanto avesse evitato Virgilio negli ultimi secoli per il suo pessimo umore, era in ansia per il suo primo appuntamento con Dante.

"Come starà annando?" chiese Marzia preoccupata mentre camminava avanti e indietro per la stanza.

"Bene, no? Raga, è Virgilio: quello avrà pianificato pure quanno anna' ar cesso!" provò a rassicurarla invano Orazio, scarabocchiando su un foglio per tenere le mani occupate.

"A meno che Dante nun lo respinga come quella stronza de' Clodia ha fatto co' me" commentò quel pessimista di Catullo.

"Armeno te qualcosa co' quella c'hai combinato!" esclamò Cicerone sbuffando.

"Starà annando alla grande! Un po' de ottimismo, raga!" tentò di risollevare il morale Mecenate.

"Ma come famo a sape' se andrà bene? Nun c'avemo manco un cellulare" si interrogò Orazio.

"Beatrice ha detto che ce pensava lei" rispose Marzia.

"Perché te te fidi de quella figlia de..." la canzonò Mecenate prima di essere interrotto.

Il buio infernale del cerchio lasciò per un attimo il posto ad una luce accecante, tanto che tutti quanti dovettero chiudere gli occhi.

"Ma che cazzo è?" chiese Catullo.

"Ma che ne so!" rispose Cicerone.

"Chi di voi è Marzia, la moglie di Catone l'Uticense?" domandò un angelo sceso dall'Empireo.

"So' io" disse la matrona.

"Nun è che ce voleva tanto: va be' che Catullo co' 'sti capelli sembra Cornelia, però..." commentò sarcastico Orazio a Cicerone.

"Una lettera da parte di Beatrice" comunicò il messaggero celeste porgendole una busta prima di scomparire in un fascio di luce.

"Uomini de poca fede" commentò ironica Marzia.

"E aprila! E leggila!" gridò entusiasta Mecenate.

"Carissima Marzia," iniziò a leggere, "sono felicissima di informarti che Virgy e Dante se ne stanno andando mano nella mano a spasso per Roma. Immagina, è stato Dante a dichiararsi per primo perché Virgy ha fatto un mezzo casino! Nemmeno Gabry e Michy sono riusciti a farlo esprimere in maniera decente! In ogni caso, il piano ha funzionato! Credo che questa sarà la prima e ultima lettera che riceverai perché Raffy mi sta facendo proprio un favorone a consegnarti questa che stai leggendo. Ma tranquilla, se succede qualcosa troverò un modo per fartelo sapere. Bacionissimi, Bea".

"Ma questa come cazzo parla? Raffy, Michy, Gabry... Virgy!" esclamò Catullo sbellicandosi dalle risate.

"Virgy! Glielo rinfacceremo per l'eternità!" commentò Mecenate.

"Sono d'accordo" aggiunse Orazio divertito.

"Raga, il piano è andato: se sboccia!" concluse Cicerone stappando uno spumante rimediato di nascosto.

Mentre gli uomini mandavano giù i primi bicchieri, la matrona sospirò sollevata e mormorò un "grazie" alzando gli occhi al cielo.



Il mio Paradiso sei tu - DantilioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora