Grazie all'aiuto della receptionist della pensione, Virgilio era riuscito a trovare un posticino tranquillo dove passare la notte a Firenze: nulla di particolarmente pretenzioso, giusto una camera con un letto matrimoniale dove poter stare in due senza correre il rischio di ritrovarsi improvvisamente per terra.
Faceva caldo anche se era notte fonda e i due stavano affacciati alla finestra con i gomiti sul davanzale, godendosi quegli ultimi momenti di pace e di beatitudine prima del terribile giorno.
"Dovemo parla' io e te", iniziò il mantovano a fatica, "Dima' è l'ultimo giorno e nun voglio discute', quinni famolo mo e togliemoce er pensiero".
Dante sospirò e alzò gli occhi al cielo verso la luna: sapeva che quel momento sarebbe arrivato prima o poi e forse era meglio ora piuttosto che il giorno seguente, quando la separazione sarebbe stata imminente e il loro buon senso sarebbe sicuramente venuto meno. Guardò la sua dolce guida, che teneva lo sguardo sulla città davanti a lui per nascondergli tutta la sofferenza che i suoi occhi avrebbero inevitabilmente mostrato.
"Che volemo fa'? Nun c'ho intenzione de perdette pe' sempre" continuò il maestro.
"C'è sempre la posta angelica" suggerì incerto il fiorentino.
"Quella da noi nun arriva; l'ultima volta che s'è visto 'n angelo messaggero ner Limbo ero tornato da poco dar Paradiso Terrestre" sospirò l'altro.
Un silenzio pesante calò tra di loro: entrambi cercavano di sforzarsi a trovare una soluzione, un qualsiasi modo per non doversi dire addio per l'eternità, ma nulla sembrava poter superare la barriera che divideva i beati dai dannati, la sommità del cielo dalla profondità della terra. Virgilio tentava di essere ragionevole: la posta demoniaca faceva fatica ad arrivare nella Giudecca, figuriamoci oltre la sfera del fuoco, Dante non aveva un cellulare e non poteva nemmeno richiederne uno, visto che era il Boss a decidere chi fosse degno di averne uno.
"Er cellulare de Bea?" propose il mantovano speranzoso.
"Quella già è un miracolo se mi parla come se fossi un essere umano! E poi Lui non vuole che si prestino i cellulari e Beatrice è ligia ai Suoi ordini" rispose sconfortato Dante.
"E che cazzo però!" imprecò il suo amato sbuffando.
Rifletterono per tutta la notte fino all'alba, ma niente: non riuscirono a farsi venire in mente un'idea che potesse funzionare. Il fiorentino, che aveva provato con tutte le sue forze a darsi un contegno, si lasciò andare ad un pianto disperato: non poteva accettare questo, di tornare alla sua solitudine in Paradiso dopo aver trascorso quel mese con il suo duce, senza i suoi strani sorrisi, i suoi abbracci e le sue battute sarcastiche che non sempre riusciva a capire. Anche Virgilio all'inizio si era sforzato di restare calmo e di darsi un contegno per entrambi, sapendo che dei due era lui quello più bravo a mascherare i propri sentimenti, ma alla vista del suo amato in lacrime non riuscì a trattenersi oltre: maledisse in cuor suo tutto questo, tutto quell'amore che lo stava divorando da dentro, che lo rendeva pronto a mettere sottosopra l'ordine celeste pur di non separarsi da quell'uomo. Non riusciva ad immaginarsi un futuro senza di lui, senza quel berretto rosso sempre sotto agli occhi, senza i suoi sguardi e il sapore delle sue labbra. Si voltò verso di lui, lo strinse forte al petto e cominciò ad accarezzargli i capelli con dolcezza, sopportando con estrema fatica il suono straziante dei suoi singhiozzi.
"Amo', ce la potemo fa'" mentì il mantovano per farlo stare meglio.
"No! No! No!", gridò il fiorentino con voce rotta, "Rinuncerò alla beatitudine eterna e...".
"No! Se veramente me ami, nun lo fa'! Me ucciderebbe sape' che hai fatto 'na stronzata del genere pe' me!", lo interruppe, "Guardame! Guardame, cazzo!".
La guida gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi: nel suo sguardo si leggeva un amore infinito e devoto, ma anche grande disperazione, un'inquietudine che avrebbe scavato un abisso incolmabile nel suo cuore.
"Nun potrò mai esse' felice co' te se so che te soffrirai pe' sempre stando co' me! Togliete dalla testa st'idea der cazzo, chiaro?" lo ammonì con il volto segnato da un'espressione di rabbia e dolore.
Dante annuì silenziosamente e si strinse al suo amato, consapevole che ben presto non lo avrebbe più rivisto.
"Mellitos oculos tuos, Iuventi, si quis me sinat usque basiare, usque ad milia basiem trecenta, nec numquam videar satur futurus, non si densior andis aristis sit nostrae seges osculationis" recitò sovrappensiero il mantovano.
"Che cos'è?" chiese il fiorentino.
"Se qualcuno, Giovenzio, mi lasciasse baciare i tuoi occhi di miele, li bacerei trecentomila volte, non mi sembrerebbe mai di esserne sazio, anche se il numero dei baci fosse di più delle spighe mature. 'na poesia de Catullo. Nun so perché m'è venuta 'n mente, ma descrive quello che provo pe' te" ammise arrossendo leggermente.
Il sommo poeta lo baciò dolcemente sula fronte e poi sulle labbra, continuando a piangere sommessamente, poi iniziò a baciarlo con passione, con foga, sentendosi avvampare in viso. Il maestro arretrò di qualche passo e si sedette sul letto, mentre il suo compagno si metteva sopra di lui e continuava a baciarlo facendo scorrere le mani sotto alla camicia.
"Amo..." lo interruppe Virgilio controvoglia, ma sapendo che era quello che andava fatto.
"Ti prego, non andrò oltre" lo rassicurò Dante quasi supplicandolo.
Il mantovano non resistette all'impulso di tirarlo più vicino a sé, così da sentire ancora di più il calore del suo corpo. Lo amava, lo amava davvero, lo amava con tutto se stesso, più di quanto gli fosse lecito, ma in quel momento non gli importava, perché erano solo loro due e le uniche cose a cui riusciva a pensare erano i suoi occhi e le sue labbra. Mentre un senso di piacere si faceva strada in tutto il suo corpo, il fiorentino lo baciò sul collo e rimpiangeva di non poter fare di più, di non poter fare quello che voleva, di non poterlo amare come voleva. Si sentiva come preso da una forza totalizzante che voleva prendere il controllo, che voleva fargli perdere il controllo e stava lottando con tutto se stesso affinché questo non accadesse.
"Amo', fermate che faccio 'n casino" lo bloccò la guida staccandosi da lui e facendogli cenno di alzarsi.
Il suo amato si fece da parte e rimase ad osservare quell'uomo che amava così tanto andare avanti e indietro per la stanza a passo spedito, guardandolo con desiderio di tanto in tanto.
"Nun sai quello che te farei, cazzo!" esclamò fermandosi di punto in bianco e fissandolo dritto negli occhi.
"Vieni a letto" disse il sommo poeta sperando di calmarlo.
Virgilio rimase qualche altro istante dubbioso sul da farsi, sapendo che sarebbe bastato ben poco a riaccendere quel fuoco che stava cercando di spegnere con tutte le sue forze.
"Annamo a dormi', vah, mi sa che è meglio" concluse l'altro rassegnato.
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Il mio Paradiso sei tu - Dantilio
FanfictionVirgilio e Dante non si vedono ormai da quasi ottocento anni e il loro umore decisamente poco allegro sta creando problemi sia all'Inferno sia in Paradiso. Il Boss è consapevole di tutto ciò, ma ha un problema più grande da risolvere: sulla Terra se...