Capitolo IX

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Due giorni di pioggia si abbatterono sulla città all'improvviso: la sera prima il cielo era limpido e Dante e Virgilio avevano chiacchierato fino a notte fonda ammirando le stelle affacciati alla finestra, ma la mattina dopo delle nubi portatrici di tempesta avevano oscurato il sole. Si sentiva di tanto in tanto il rombo di un tuono in lontananza e un forte odore di pioggia si era infiltrato nella stanza attraverso la finestra del bagno. Da una parte la guida era seccata dal tempo avverso, visto che aveva programmato un piccolo picnic per il suo amato, ma dall'altra l'idea di starsene in pigiama tutto il giorno a vedere programmi spazzatura, mangiando gli snack che avevano comprato al supermercato qualche giorno prima, lo attirava molto e gli riportava alla memoria i pomeriggi invernali passati con Orazio e Mecenate davanti al camino, commentando senza alcuna pietà gli ultimi lavori pessimi di certi poeti ancora acerbi.

"A cosa stai pensando, duce mio?" chiese Dante vedendo il proprio compagno perso nei suoi pensieri.

"Niente de che, roba successa millenni fa. Nun te preoccupa'. Allora, hai deciso che ce vedemo?" disse l'altro ritornando al presente.

"Questo programma mi sembra molto interessante" rispose il fiorentino posando il telecomando e aprendo un pacco di biscotti.

Al mantovano venne automatico farsi più in là nel letto e spostare le coperte per farci entrare il suo amato, ma l'espressione d'incertezza che gli lesse negli occhi gli fece comprendere che lui non se lo aspettava. Il sommo poeta arrossì un po' osservando lo sguardo interrogativo di Virgilio, che sembrava dirgli Ma vieni o no?, ma l'imbarazzo lo abbandonò presto e si infilò sotto alle coperte con lui.


"Quindi le sentenze sono vere, ma loro sono degli attori?" domandò confuso Dante addentando l'ennesimo oreo.

"In pratica sì" rispose Virgilio ancora assorto nel programma.

"Quindi in quest'epoca si può divorziare tranquillamente e senza che sia stato commesso per forza adulterio e i figli vivono un po' da entrambi i genitori. E il fatto che i bambini in questione siano nati al di fuori del matrimonio è perfettamente normale. Così come il fatto che lei sia un medico e lui giochi d'azzardo?" ricapitolò il fiorentino per assicurarsi di aver capito bene tutto.

"No, er fatto che lui s'è giocato pure 'a casa nun è normale, infatti 'a moglie lo sta a lassa' pe' questo" spiegò il mantovano aprendo il secondo pacchetto di patatine alla paprica della giornata.

"Ha fatto bene lei a lasciarlo! Meno male che in questo millennio ci sia il libero arbitrio effettivo!" commentò il sommo poeta quasi come se tutto ciò lo rassicurasse.

Il poeta latino intuì che, anche se non lo dava a vedere, il suo compagno rimpiangeva di non aver avuto accesso a quella libertà di scegliere con chi stare di cui i vivi godevano di quei tempi, forse perché, se avesse potuto decidere per sé e seguire il suo cuore, probabilmente non avrebbe mai sposato Gemma e non si sarebbe dato per vinto con Beatrice. Questi pensieri, in effetti, affollavano la mente del fiorentino, ma non lo turbarono a lungo: Dante e Virgilio ora potevano decidere con chi stare e si erano scelti a vicenda, permettendosi così di essere felici e sentirsi amati.

Dante si accoccolò e pose il capo sul petto del suo amato, rilassandosi sentendo i battiti rapidi e regolari del suo cuore, mentre Virgilio, poco abituato a questo tipo di intimità, cominciò ad accarezzargli dolcemente un braccio e chiuse gli occhi per godersi appieno quel momento.

Restarono così a lungo, per tutto il giorno, commentando di tanto in tanto quello che passava in tv e quegli strani cibi che piacevano tanto agli uomini del ventunesimo secolo. Quando si svegliarono la mattina dopo, erano ancora nella stessa identica posizione, come se lo spostarsi di anche un millimetro avesse potuto rompere l'incantesimo che permetteva loro di star così vicini dopo decenni e decenni di lontananza.

"Che tempo da lupi! Che volemo fa' oggi?" chiese il mantovano dopo averlo baciato un paio di volte.

"Potremmo andare da qualche parte, al chiuso naturalmente" rispose il fiorentino mentre giocava con uno dei riccioli biondi del compagno.

"Museo? C'hai 'na vasta certa ecco", propose l'altro, "anche se l'idea de resta' così pure oggi nun me sembra tanto male".

"Neanche a me, ma abbiamo così tante cose da fare e da vedere e così poco tempo a disposizione!".

"E allora museo sia!".


Se c'era una cosa alla quale i due erano estremamente sensibili, quella era la bellezza. Non importava che fosse un paesaggio, una fanciulla, il corpo scolpito di un giovinetto, il gioco di sguardi tra due amanti o una scena pastorale: se era bella, i loro cuori lo avvertivano e il loro animo raggiungeva uno stato di pace. Il poter finalmente vedere con i propri occhi opere di cui fino ad allora avevano solo sentito parlare, sia in bene sia in male, da un lato li riempì di un profondo entusiasmo, dall'altro fece comprendere loro la fugacità e l'imprevedibilità della vita, terrena o eterna che fosse: a Virgilio sembrava ieri che aveva presentato Orazio a Mecenate, sembrava solo un sogno il poter tenere la mano al suo Dante passeggiando per Roma, eppure era lì nel terzo millennio, ritornato momentaneamente in un corpo dopo secoli nel Limbo, in compagnia della persona che amava di più in assoluto.

Alla fine del loro piccolo tour improvvisato per musei, la pioggia era cessata da poco  il cielo si stava lentamente aprendo, permettendo così ai due di poter fare una camminata sotto alle stelle fino alla pensione. Parlarono di quello che avevano visto, delle meraviglie che l'uomo era riuscito a creare e a migliorare secolo dopo secolo, ancora sorpresi da tutto ciò. Mancavano pochi metri alla loro destinazione, l'insegna del loro albergo era già visibile, quando Dante si fermò di punto in bianco e rimase in silenzio, come se esitasse. Virgilio, non sapendo come reagire, si fermò anche lui e, presagli la mano, lo guardò dritto negli occhi con aria confusa.

"Che è successo?" gli chiese preoccupato.

"Che ne sarà di noi dopo?" domandò il fiorentino, "Adesso sono qui, con te, posso toccarti, posso baciarti, posso avvertire la sensazione della tua pelle sulla mia, posso guardarti negli occhi, posso sentirti ridere e imprecare e...".

"Che voi di'?" disse turbato il mantovano.

"Altre tre settimane e io e te saremo separati per sempre. L'ho sempre saputo, ma solo adesso comprendo ciò che davvero significa" continuò l'altro con le lacrime agli occhi come se stesse parlando da solo.

"Senti a me", lo interruppe il poeta latino, "Avemo ancora un po' de tempo, in effetti nun stamo manco a metà viaggio. In ogni caso, troveremo un modo pe'...".

"Per cosa? Per stare insieme? Io tornerò in Paradiso e tu nel Limbo, non ci rivedremo mai più!".

Dante iniziò a singhiozzare e si staccò bruscamente da Virgilio, fissando il suo sguardo nel vuoto per evitare di guardarlo.

Il mantovano non sapeva come reagire: avrebbe voluto stringerlo a sé, dirgli che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero trovato un modo, che era il momento di concentrarsi sul presente e di non focalizzarsi troppo sul futuro. Ma sapeva che era tutto una splendida menzogna: si era spesso ritrovato anche lui a pensare a come sarebbe stato il dopo, a come avrebbe potuto non-vivere nel Limbo dopo aver vissuto tutto ciò, a come avrebbe potuto resistere sapendo che, ai piani alti, Dante si stava struggendo pensando a lui. E così rimase fermo e in silenzio, osservando il dolore del suo amato senza riuscire a fare nulla. Si sentì tremendamente impotente e questo lo uccideva.

"Ho bisogno di stare da solo. Ho bisogno di pensare. Ho bisogno di..." concluse il fiorentino tornando indietro.

"Ma do' vai? Te perdi! Dante! Dante!".

Ma ormai il sommo poeta era corso via ed era scomparso dietro l'angolo. Il mantovano non riusciva a muoversi, era come pietrificato in mezzo alla strada, eppure le lacrime scendevano veloci rigando le sue guance.

"Perché, Grande Capo! Perché! Perché! Che cazzo t'ho fatto de male n''a vita mia!" gridò al cielo con rabbia continuando a piangere.

Il mio Paradiso sei tu - DantilioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora