Angelo

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Dopo quell'immagine, quella foto il mio pensiero mi porta avanti in un altro posto, strano e diverso, più aspro, più grigio, più cupo! Lì in quella casa fatta di mattoni avrei perso tre delle persone più importanti della mia vita. Avrò avuto cinque anni o poco più. La terra era arida, l'odore dei pini penetranti, il sole cocente.
Giocavo sempre tra quegli alberi, mi piaceva correre tra i pini, e anche se mi graffiavano non smettevo. Smettevo solo quando il mio cuore pulsava talmente forte  da far in modo che il mondo intero sapesse della mia esistenza. Smettevo solo quando non avevo più fiato in corpo, smettevo solo quando le mie gambe cedevano facendomi cadere a terra e facendomi assaggiare le mie stesse lacrime. Quegli alberi, quella terra arrida  erano il posto dove mi rifugiavo da tutti. 
Poi ritornavo tra i vivi.
Ero diversa e mia madre mi odiava. Non ho mai capito il perché del suo odio, ma lo intuivo da come per lei io non esistessi, da come non mi accudiva, da come non mi guardava. Per lei ero solo un fantasma, uno spirito, uno di quelli cattivi da tener lontani e avere paura.

Tutto quell'odio a me non importava. Non mi interessava. Non mi opprimeva perché con me c'era lei. Mia sorella. Era lei che mi accoglieva dopo che ero andata a correre tra i pini.  Era mia sorella! Un Angelo tra i morti o vivi, non so come definire quel branco di esseri che aspettavano la morte oppure erano già morti. 

Mia sorella, adesso sono passati fin troppi anni affinché io possa ricordare il suo volto, i suo lineamenti, ma a me piace pensare che io adesso assomigli a lei, almeno un po'. Mi ricordo che era solita lavarmi canticchiando una canzone. era solita portami con lei in chiesa. io mi addormentavo sulle sue gambe, mentre lei cantava agitando le braccia per aria e gridando "Sia lodato il Signore". Capì diversi anni più tardi chi fosse quel "Signore". mi ricordo che ogni tanto quando si poteva mi accompagnava a scuola con una vecchia bici, e un giorno mentre stavamo andando a scuola, in una discesa lei per aggirare una grossa pietra ,sterzò col manubrio e  cademmo a terra. Ogni volta che mi tocco il sopracciglio destro sento ancora la cicatrice e l'osso sotto. E mi viene in mente quella caduta, la mia maglia bianca che diventa rossa, e i suoi capelli ricci impregnati di sangue. La cosa strana è che non la vidi più, di lei non ne sentì più parlare dopo la morte di mio fratello. Sparì. Non c'era più. Ed ancora oggi mi domando se lei sia mai stata il frutto della mia immaginazione o se sia realmente esistita. lei era mia sorella. era mia sorella. e si chiamava Gisella.


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