Capitolo 14

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Sono passati due mesi ed è arrivata la neve qui ad Auschwitz. Il mio compito è distribuire il cibo ai prigionieri.
Il sole sta sorgendo. Inizia un nuovo giorno, qui, dove il lavoro ti rende libero.
Anche se ho capito che l'unico modo per essere veramente liberi qui è passare da un camino.
Esco dal block ed inspiro forte l'aria carica di neve. Il cielo è grigio. Le ciminiere sono già in funzione.
- Siete liberi, andate per il mondo – saluto persone che hanno condiviso le mie stesse speranze e che mi hanno offerto un sorriso, uno stralcio di vita che non mi appartiene.
Così inizia la mia giornata, con un addio.
Mi incammino verso le cucine. Il terreno è ghiacciato e i miei zoccoli di legno slittano sulla neve.
Le mie scarpette da infermiera scivolano sul marciapiede giacchiato del quartiere di Śródmieści. Sento la Vistola scorrere sotto i miei piedi mentre raggiungo il ponte dei Suicidi.
All'ingresso delle cucine Joseph, il cuoco, mi saluta con un sorriso vago. Afferro la pesante latta che contiene la zuppa che dovrà sfamare le donne della mia sezione. Il metallo mi scivola tra le dita, il peso mi curva la schiena.
Le mani mi si graffiano e bruciano. Non me ne curo, ormai non importa più. Sospiro e guardo giù. La Vistola si agita scura sotto di me.
Inizio ad avanzare lentamente e a passi goffi verso la mia meta. Sale un profumo delizioso dall'enorme pentola e devo trattenermi dall'infilarci le dita. Quando Lui non c'è io e Harry soffriamo la fame quasi quanto gli altri. Torna ogni tre settimane e mangia con noi il venerdì sera, per poi ripartire subito il giorno dopo. La notte del venerdì Harry non torna al block.
Quando arrivo davanti agli alloggi femminili mi fermo al centro del cortile innevato e batto tre volte con il mestolo sulla latta.
Immediatamente una fila si forma davanti a me. Riconosco alcuni volti, altri sono nuovi. Ci sono delle bambine.
Non guardarle Helena, non accarezzare le loro testoline ormai pelate. Domani non ci saranno più.
-Signorina – una bambina mi strattona per la manica della divisa a righe.
-Si?-ù
Mi chino per guardarla meglio. I suoi occhi azzurri acchiappano i miei e mi tolgono il respiro. Potrebbe essere me.
-Lei per caso è un angelo? – la sua voce è così fioca che faccio fatica a sentirla.
Un uomo geme accanto a me.
-Signorina – gracchia ormai senza voce. Accorro.
-Signorina, lei è così bella da sembrare un angelo. Mi dica, lo è?-

Le sorrido.
-No piccola, non lo sono – rispondo dolcemente.
-I tuoi capelli sono così belli – mi sfiora una treccia che è scivolata in avanti.
La guardo. Probabilmente anche lei li aveva color del grano. Le accarezzo la testolina rasata.
-Ricresceranno tesoro – prometto con la voce strozzata.
Mi volto per non far vedere le lacrime che mi hanno riempito gli occhi.
La gente reclama il cibo. La piccola mi mostra la ciotola.
La riempio fino a metà, come dice il regolamento.
"Non cercare di salvarli". L'ammonimento di Harry mi gira in testa.
So di non poterli salvare, è un consapevolezza che mi schiaccia con tutto il suo peso.
So anche, che se riempio troppo la ciotola dei primi della fila agli ultimi non resterà più niente. Sono impotente.
Sorrido e distribuisco zuppa. Sorrido e distribuisco speranza. Sorrido e nutro la gente di illusioni.
Illusioni e carote marce. Difficili da digerire.
Le donne che erano in fila anche ieri mi sorridono con meno convinzione. Sanno cosa le aspetta, sanno che il mio sorriso è di facciata.
Quando anche l'ultima goccia di zuppa è finita e il viso mi si è congelato la campana che segnala l'inizio dei lavori suona e le donne si disperdono subito.
Lui è al campo. Vuol dire che non posso andare al mercato nero al limite del campo. In pochi mesi Harry ed io siamo diventati dei maestri della contrattazione.
Contrattiamo per Karl, il tatuatore e per Joseph, il cuoco. Contrattiamo per quei pochi che riescono a sopravvivere. Ormai sono rispettata e temuta già al mercato.
Ma, oggi è zona proibita per me. Se solo Lui sapesse che ci passo tutto il mio tempo libero!
Non so cosa pensi che dovrei fare, ma di certo non vorrebbe che stessi dove il suo piccolo angelo può farsi male.
Come sempre, quando Lui è al campo mi dirigo alla scuola.
Ho sentito dire che in altri campi le scuole sono molto più attrezzate, perché ci sono più bambini. Qui i bambini rimangono solo per pochi giorni. Quindi la scuola è solo un modo per non farli scorrazzare per il campo.
Quando entro tutti i bambini si spintonano e il chiacchiericcio cresce.
Anne, l'insegnante mi sorride. Siamo diventate amiche da poco e ogni volta che vado a trovarla è sempre felice di parlarmi dei suoi bambini. È giovane, ha solo qualche anno più di me, e anche quando abitava a Cracovia era una maestra.
-Bambini! – canticchia battendo le mani – qualcuno si ricorda della nostra amica Helena?
Solo due bambini alzano la mano. Il mio cuore sprofonda.
Anne incrocia i miei occhi e vi leggo la tristezza che le sue labbra non fanno trapelare.
Di solito mi accomodo in un angolo e assisto le lezioni, i bambini mi fissano e chiedono se possono toccarmi i capelli.
-Helena, vuoi cantarci qualcosa?-
Rimango pietrificata. Non so cantare. Non mi viene in mente nessuna canzone.
Ricordo vagamente Niall che canticchiava sottovoce quando passeggiavamo lungo la Vistola.
Mi sono alzata e i bambini hanno formato un cerchio attorno a me.
Anne mi ammonisce silenziosamente. "Niente di triste".
Mi sforzo di pensare. Poi un ricordo riaffiora all'improvviso.
Halina seduta sulle gambe di papà. La mamma che batte le mani a tempo. E io che rido. Rido perché la canzone è così felice, la mamma è felice, persino quella musona di Halina è felice.
Mi schiarisco la gola.
-Gam-Gam-Gam Ki Elekh – inizio con voce tremante.
Qualcuno mi guarda concentrato. Non tutti conoscono l'ebraico. Gonfio il petto e continuo.
Anche se andassi
nella valle oscura
non temerei nessun male,
perché tu sei sempre con me;

tutti battono le mani quando inizio il ritornello.
Sento le mie labbra dischiudersi in un sorriso sincero che pensavo di aver dimenticato.
Anne mi prende per mano e mi fa girare. Ho di nuovo sedici anni. Non c'è la guerra, non c'è la fame. Tutto questo non esiste.
Ma come tutte le cose belle, anche la canzone deve finire e io torno da Harry.
-Ti vedo allegra – mi dice.
Annuisco e sorrido. Harry, al contrario di me, sorride sempre. Sono quei rari momenti in cui l'opprimente cappio della morte non ci soffoca con i suoi tentacoli e possiamo tornare a respirare normalmente.
***
Quando alla sera siamo nel nostro block Harry mi pettina i capelli, perché Lui ci vuole belli e tirati a lucido.
-Come fai ad essere sempre così allegro Hazza? Come fai a non perdere la speranza.-
Harry posa la spazzola e mette le grandi mani sulle mie spalle.
-Ho un segreto – sussurra.
Mi volto a guardarlo.
-Una cosa mia, che nessuno sa. Quando sono triste ci penso e torno ad essere felice. Tu non hai nessun segreto? Non mi hai mai parlato di casa tua.-
Niall. Il mio segreto.
Distolgo lo sguardo. Non pensavo a lui da.. troppo tempo. Ho smesso di sperare che venga a salvarmi. Però il cuore mi si scalda ancora quando la sua immagine mi torna in mente.
-Se te ne parlassi non sarebbe più un segreto – gli dico.
-Certo – sorride Harry capendo che non voglio parlarne.
-È meglio andare, ci starà aspettando – mi alzo e aspetto che mi segua.
***
Da qualche parte, nella fredda Germania un soldato cerca disperatamente la donna che ama. Non si cura del freddo o della neve. Vuole ritrovarla.
Scosta i malati e rivolta i cadaveri sperando ogni volta di non trovare lei.
Urta una ragazzina e la prende un attimo prima che lei cada.
-Scusi – borbotta lei.
Il soldato sussulta. Quei capelli biondi.
-Helena! – urla.
La ragazzina alza la testa e fa segno di no.
-Mi scusi, non sono quella che cerca.-
Il cuore del soldato sprofonda. È sicuro che un giorno la troverà. L'ha promesso.

Il ponte dei suicidi \\Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora