Capitolo 1

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Ogni singola fibra del mio corpo trema.

Arretro di un passo, poi di un altro. La mia schiena si scontra con il parapetto del ponte. I miei occhi sono incollati sulla canna del fucile che il ragazzo tiene appoggiata alla spalla.

Non sembro ebrea, lo so. Le mie sorelle lo sembrano, con i loro capelli scuri e la carnagione olivastra, ma io ho preso dalla mamma, che era tedesca. I miei capelli biondissimi e i miei occhi azzurri nascondono ciò che sono davvero, ma la stella a sei punte appuntata sul mio braccio parla chiaro.

Dannazione mi rimprovero.

I suoi occhi percorrono ogni centimetro del mio corpo, per quanto la fioca luce della luna lo permetta.

-Non voglio farti del male – dice intuendo i miei sentimenti.

Mi giro verso la Vistola. Adesso realizzo che avrei fatto meglio a gettarmi in acqua quando ne ho avuto l'opportunità invece di finire tra le braccia di un soldato tedesco. Domani troveranno in mio corpo sul marciapiede e lo lasceranno lì insieme a tutti gli altri che sono morti per la fame o per il freddo. Rabbrividisco.

-Sei un tedesco. I tedeschi uccidono gli ebrei. E io sono ebrea – sottolineo l'ovvio – avete uccido mia sorella.

Scoppio a piangere. Lui si avvicina e mi sento in trappola. Chiudo gli occhi in attesa della fine.

Che però non arriva. Le sue grandi braccia mi circondano e le sue mani accarezzano i miei capelli.

-Shh. Mi dispiace tanto. Non ti farò del male. Fidati di me – mi accorgo che ha smesso di darmi del lei.

Come posso fidarmi di lui dopo che per tutta la mia vita papà mi ha ripetuto instancabilmente di non fidarmi dei tedeschi?

Scuoto la testa contro il suo ampio petto.

-Lasciami – balbetto – devo tornare a casa.

-Da sola? – mi risponde lui senza lasciarmi andare – ti accompagno.

-Non è necessario – cerco di controllare la mia voce.

Lui ride e non posso fare a meno di sorridere perché è una di quelle risate che mettono allegria. Scopre i denti bianchissimi e getta la testa all'indietro. Poi torna serio.

-I soldati non sono tutti come me – dal tono sembra che mi stia rimproverando – non voglio che tu corra rischi.

So che non mi lascerà mai tornare da sola perciò annuisco e mi incammino verso casa seguita da lui.

Camminiamo per un po' in silenzio. Fa piuttosto freddo per essere ottobre, mi stringo nel cappotto ormai troppo piccolo per me.

-Hai freddo? – mi chiede. Prima ancora che possa rispondere si sfila la giacca dell'esercito e mi copre le spalle. Profuma di pulito, nessun soldato polacco profuma di pulito.

-Grazie – sussurro continuando a camminare.

-Mi chiamo Niall – mi dice.

Mi fermo e alzo la testa per guardarlo negli occhi.

-Non è un nome tedesco – digo sgarbatamente. Stupida, mi dico. Avrei dovuto rispondere con il mio nome oppure con un sorriso, di certo non così.

Lui si limita a sorridere. Inclina la testa di lato e soppesa il mio sguardo.

-In realtà sono irlandese. Neanche tu sembri ebrea – dice poi.

Sussulto.

-Mia madre era tedesca – dico riprendendo a camminare velocemente. Non voglio parlare di mia madre con un soldato tedesco.

Il ponte dei suicidi \\Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora