Capitolo 6

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È domenica sera tardi e sto leggendo un libro che ho trovato nello studio di papà. La casa è stranamente silenziosa, i miei fratelli dormono e Dori è già andata a casa da un pezzo. In cucina ci siamo solo io e papà, lui sulla grande poltrona nell'angolo, io su una scomodissima sedia di vimini vicino al tavolo. Sospiro. La candela trema proiettando un'ombra ondeggiante sulla parete. Mi accorgo che sto fissando il muro davanti a me e cerco di tornare a leggere. Ma le parole si incrociano e le lettere si invertono. Chiudo il libro con un tonfo e chiudo gli occhi.

Non vedo Niall da una settimana, da quando mi ha accompagnata a casa dal cafè La Vistola, da quando mi ha implorato di scappare da Varsavia. Se mi sporgo sulla sedia e allungo il collo riesco a vedere la borsa che ho riempito di vestiti e quei pochi soldi che sono riuscita a trovare, l'ho infilata sotto la scrivania di papà dove so che non la troverà nessuno, in camera mia Dori l'avrebbe scovata subito. Che stupida che sono. Ho davvero pensato di poter scappare con un sergente dell'esercito, lasciando la mia famiglia e la mia patria. Per andare dove poi? So che tra poco la guerra scoppierà in tutta Europa e l'America sembra irraggiungibile.

Sento il respiro regolare delle mie sorelle e mi si riempono gli occhi di lacrime al pensiero di lasciarle, non potrei mai mai mai.

- Helen – mio padre ha distolto gli occhi dal suo libro e mi sta fissando.

Restiamo per qualche istante a guardarci immobili. È la prima volta dalla morte di Halina che da un cenno di vita.

- si, papà? - rispondo con un groppo in gola.

- cosa ti preoccupa? Sei strana ultimamente – dice piano, lentamente, in tono paterno.

Tono paterno! È tornato, il mio papà, l'uomo a cui devo tutta la mia cultura, ha sollevato il pesante velo che lo divide dal resto del mondo. So che durerà poco, che tra qualche istante tornerà ad estraniarsi e a vivere nel passato, ma non voglio farmi scappare l'occasione.

- sono solo stanca – rispondo con tutta la dolcezza che riesco a trovare.

- troppo lavoro all'ospedale? - si informa lui.

Il mio cuore precipita. Non è per il lavoro, è per la delusione che provo ogni volta che varco il cancello dell'ospedale e Niall non è lì ad aspettarmi. Ma questo a papà non posso dirlo.

- si, probabilmente è per questo – dico annuendo con convinzione.

- dovresti smettere di lavorare Helena. Non se ti nuoce alla salute – il dottore che è in lui sembra emergere.

- va bene papà, se è questo che vuoi – io non voglio. Mi piace lavorare, mi piace rendermi utile.

Papà si alza e mi mette le mani sulle spalle.

- sai che non è quello che voglio. Ho sempre voluto che le mie bambine lavorassero e si guadagnassero da vivere in barba a tutti quei polacchi che dicono che le donne devono solo crescere i figli. Ma da quando tua sorella non c'è più... temo per te ogni volta che esci di casa.-

Trattengo il respiro. Non pensavo neanche che si accorgesse che esco. Sto per rispondere quando bussano furiosamente alla porta.

Io e papà ci scambiamo uno sguardo allarmato. Nessuno dei due si muove.

- per ordine dell'esercito tedesco, aprite!-

Mi sento svenire e vedo mio padre sbiancare. Faccio un passo verso alla porta ma lui mi afferra per una spalla e mi tira indietro andando coraggiosamente ad aprire.

Entra un uomo alto e muscoloso, che sembra un armadio.

- tutta la vostra famiglia è in arresto – dichiara con voce chiara e forte.

Il ponte dei suicidi \\Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora