Capitolo 3

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- Non dipende da me – rispondo con poca convinzione.

Lui ride mostrando i denti bianchissimi. 

- Come può non essere una scelta tua? – è tornato a darmi del tu.

- Non può capire – ribatto tornando ad erigere una barriera tra noi.

Niall inclina la testa per guardarmi meglio, serra le labbra pensieroso. Mi prende per un braccio e mi trascina a velocità folle per la strada ghiacciata, dalla parte opposta a quella di casa mia. I passanti ci osservano stupefatti. Un soldato dell'esercito tedesco che tiene per mano una ragazzina ebrea. Entriamo in un parco abbandonato. Niall si siede su una panchina e mi fa segno di sedermi accanto a lui. 

In realtà non potrei, non dovrei. Il mio istinto di dice di darmela a gambe, il mio cuore mi dice di fidarmi. Mi accoccolo nell'angolo più lontano della panchina.

- Scusami – mi dice sorridendo – stavamo attirando l'attenzione. In questo periodo non è un bene.

- Mi scusi – dico – non era mia intenzione metterla in pericolo.

Scoppia nuovamente a ridere.

- Io stavo mettendo in pericolo te. E per favore, smettila di darmi del tu, mi fai sentire vecchio.

- Sei più grande di me – faccio notare – quanti anni hai?

La mia solita loquacità sta emergendo ma sento le mie guance tingersi di rosso ogni volta che lo sguardo del soldato mi sfiora.

- Ventidue – risponde corrugando le sopracciglia – e tu?

- Diciassette – rispondo pronta.

- Diciassette anni. Sei così piccola, sei uno scricciolo di ragazza.

Sorrido ed arrossisco. Sono molto bassa, è vero, e la guerra mi ha fatta diventare magra come un chiodo.

- Non volevo offenderti – sorride lui.

- Non mi hai offesa – mi affretto a rispondere – è la verità. 

Apre la mano e me la porge. Appoggio la mia sulla sua. Sembra che abbia una falange in più di me. Scoppio a ridere.

- Anche tu sei molto alto. Non conosco nessuno grosso come te – dico a voce così bassa che per un attimo penso che non mi abbia sentito.

Mi sorride ed io mi sciolgo. Si accorge che sto battendo i denti per il freddo. 

- Che sbadato – si batte una grande mano sulla fronte – ti ho portato una cosa.

Dallo zaino che tiene appoggiato alle gambe estrae un fagotto.

- È un cappotto – dice porgendomelo – era di mia madre, dovrebbe andarti bene.

Le mie dita sfiorano le sue e le mie guance avvampano. Il cappotto è davvero bellissimo, grigio con il bordino bianco. Me lo appoggio al petto e cerco di immaginarmi con indosso un capo così bello. Non ho vestiti decenti da... non riesco neppure a ricordare quando.

- Provalo – mi dice dandomi un colpetto sulle mani.

Mi alzo e lui mi aiuta a sfilare la vecchia giacca. Un brivido di freddo mi scuote. Prendo atto del mio aspetto. I capelli schiacciati dopo essere stati compressi tutto il giorno sotto la cuffietta da infermiera, le labbra viola per il freddo, le occhiaie causate dallo stress e, cosa peggiore, l'enorme macchia di sangue su tutto il camice. Sento lo sguardo caldo del soldato percorrere ogni centimetro del mio corpo e la mia pelle andare in fiamme.

Alza la mano e sfiora la macchia color porpora.

- Dio mio – sussurra forse credendo che io non senta.

Mi infila il cappotto, che mi va alla perfezione e torna a sedersi.

- Sei troppo buono per essere un soldato – gli dico accomodandomi un po' più vicina a lui. 

I suoi occhi tristi mi sorridono.

- Non vorrei esserlo – mi confida prendendomi le mani tra le sue.

Per un attimo i nostri occhi si incontrano.

- Ti da fastidio? – chiede facendo cenno alle mie piccole mani racchiuse tra le sue.

- No – dico sincera – se non vuoi essere un soldato..perchè non cambi lavoro?

Chiedo innocentemente. Lui scoppia a ridere e viene scosso da dei singhiozzi.

- Non posso, piccola Helen. I miei genitori erano infiltrati del governo Inglese, quando furono catturati io avevo solo sette anni e quindi misero anche me in cella con mia madre, non avevo parenti in Germania. 

Un generale ebbe pietà di me e mi accolse come un figlio quando i miei vennero giustiziati. In punto di morte gli promisi che sarei entrato nell'esercito. Quell'uomo è stato come un padre per me. Mi ha accolto in casa sua nonostante fossi figlio di spie inglesi.

Mi sembra di vedere una lacrima scivolare lungo la sua guancia ma lui fa finta di niente e sospira.

- Capisco. Ma qui si tratta di uccidere delle persone – rispondo abbassando un po' la voce.

Mi guardo intorno e non vedo nessuno.

- Hai ancora paura di me, vero? – lui sorride – è comprensibile. Credimi, lascerei l'esercito e andrei a lavorare in un campo di patate anche domani stesso se il governo non mi tenesse d'occhio.

Ah. Mi limito a guardarlo. Il mio cuore batte forte e ad un tratto vorrei che mi baciasse. Non ho mai baciato nessuno in vita mia e adesso mi sento in imbarazzo. Anzi in realtà non sono mai stata da sola con un ragazzo per così tanto tempo, nemmeno con i miei fratelli. C'è sempre stata Halina con me.

- Vorrei solo... - sospira. Si ferma e arrossisce – vorrei solo una moglie ed una casa. Magari un pezzo di terra da coltivare. Nient'altro.

Il mio imbarazzo è totale adesso. Ma la gelosia che provo nei confronti della sua ipotetica moglie è ancora peggio. Distolgo lo sguardo.

- Non è chiedere poco, durante la guerra – sottolineo cercando di non essere scortese.

Lui ride. Adoro le fossette che gli si formano ai lati della bocca.

- Lo so. Parlo di quando la guerra sarà finita. Voglio andarmene da qui. Voglio tornare nella mia Irlanda.

Gli sorrido. Anche a me piacerebbe vedere i verdi prati irlandesi. Non sono mai uscita dalla Polonia.

Lo sguardo d'intesa che c'è tra di noi mi sorprende.

Mi da un colpetto alle mani ancora strette tra le sue e si alza.

- È meglio se ti accompagno a casa ora, si sta facendo tardi – dice.

Arrivati davanti al portone del mio palazzo mi sorride.

- Ti dispiace se passo anche domani sera? 

- No, certo che no – rispondo alzandomi in punta di piedi per guardarlo negli occhi.

- Perfetto – dice.

- Grazie per il cappotto, è davvero bellissimo.

Non risponde. Si limita a sfilarsi un guanto e a sfiorarmi la guancia. La pelle mi prende fuoco.

- Buonanotte piccola Helen.

E si incammina verso la Vistola.

So già che non riuscirò a prendere sonno facilmente.

Il ponte dei suicidi \\Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora