Seven.

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Le parole non erano noiose, erano cose che ti stimolavano la mente. Se le leggevi e ti lasciavi prendere dalla magia potevi vivere senza dolore, con la speranza, qualunque cosa ti capitasse.

Ero molto dipendente dalle persone dopo che le conoscevo bene. E se avevo avuto l'opportunità di conoscerle bene, significava che quelle persone mi piacevano. Non le odiavo come le altre.

Mi piacevano i poeti. In grado, anche loro, di capirti senza conoscerti.

Leopardi ad esempio. Morto per il troppo studio. Poche ore prima della sua morte, compose un'altra delle sue opere. Durante il suo periodo di malattia lui ancora progettava. Progettava di ritornare nella sua città Italiana per poi andare verso la Francia. Lui non aveva paura. Alcuni medici, lo convinsero addirittura che la sua malattia fosse più psicologica che fisica. Saputo questo, iniziò a ignorare le prescrizioni datogli capendo che non potesse comunque scappare dal suo destino.

E nessuno di noi lo può fare. Non possiamo decidere, controllare e progettare quel che sarà del nostro destino. Si vive sapendo che prima o poi si muore, perché ormai è l'unica certezza della vita, ma si spera di morire senza rimpianti. Ma lo sanno tutti che più si spera, meno ciò che si spera accade.

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Ethan mi aveva parlato un po' di come la pensava sulla morte. Mi aveva detto che non aveva paura della morte. Non credeva in Dio, non credeva nel paradiso e neanche nell'inferno.

Nell'inferno ci viviamo già.

Gli avevo risposto. Lui mi aveva sorriso e aveva annuito.
Ethan sapeva ragionare. Mi piaceva quando parlandomi si perdeva nei suoi discorsi. Era razionale. Mi piaceva stare assieme a lui.

Ma non potevo non pensare a come accanto a me avrei voluto qualcun altro. Avrei voluto fargli così tante domande per sapere anche il suo punto di vista. Volevo sapere se era d'accordo con me, se voleva avere ragione e se ne sapeva di più.

Aveva ragione a dirmi che lo pensavo sempre. Da quando mi aveva parlato a scuola, avevo spesso i capelli raccolti per magari cercare di farlo sorridere se lo avesse notato. Non potevo far altro che sorridere di più dentro di me, quando lo vedevo guardarmi, sorridendo.

- - -

-Coralie tesoro, vai ad aprire sono sicura sia tuo padre! È così sbadato da dimenticarsi sempre le chiavi.-

Mia madre stava, come al solito, ripulendo la cucina con la sua musica blues preferita di sottofondo. Scesi dalla mia posizione comoda dal divano, arrivando fino all'entrata illuminata dal sole caldo delle 14:00.

Mio padre la domenica faceva spesso lavori di giardinaggio per i vicini. Lo faceva per piacere personale, per aiutare le persone e per togliersi i pensieri della settimana dalla testa.

Aperta la porta mi aspettavo di trovarlo con la sua tuta verde da lavoro e le forbici tra mani. Di sicuro non mi aspettavo di vedere una figura longilinea, coperta da vestiti scuri e i capelli ricci e mori avvolti in una fascia nera, davanti a me.

Lo guardavo un po' scioccata di averlo davanti. Poi pensai all'aspetto trasandato che potevo avere. Avevo i capelli raccolti in una coda alta, una maglia larga di uno dei gruppi rock più conosciuti e dei leggins neri che avvolgevano le mie gambe magre. Mia madre arrivò alla porta mentre si asciugava le mani in un canovaccio. Si stupì quando non trovò mio padre accanto a me.

-Coralie! Non mi avevi detto di aspettare qualcuno.-

-Uhm mamma, ecco lui è..-

Gli davo le spalle e parlavo con fin troppa incertezza. Una voce poi, mi sfiorò la pelle scoperta del collo creando brividi che vagavano per tutto il mio corpo.

-Sono Harry signora Jones. Vado nella stessa scuola di Coralie. Passavo di qui e pensavo di invitarla a fare un giro.-

Aveva parlato lentamente, come aveva fatto la prima volta. Il suo respiro era ancora fermo sul mio collo facendomi capire la sua vicinanza. Mia madre si illuminò e ovviamente accettò per me di andare.

Contrariamente a ciò che volevo, pochi minuti dopo stavamo già camminando per le strade della città.
Eravamo da soli, contro il nostro destino.

Stockholm Syndrome. Hs.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora