XIV - Mercoledì sera

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Lo sguardo era diverso.

Un involontario osservatore avrebbe detto gelido, asettico, distaccato.

La realtà era diversa.

Diametralmente opposta.

Alessandra portò la mano verso la bocca.

E con un gesto avido e timoroso allo stesso tempo succhiò il pollice.

Abbassò la testa di nuovo.

Accogliendo il membro gonfio fra le sue labbra.

Ed il pollice, quasi simultaneamente, era sparito alla vista. La mano stretta fra le natiche di Davide.

Lui era disteso sul letto. Immobile.

Braccia e gambe legate da nastri rossi ai pomelli del letto.

Tutto avvenne in un attimo.

Prima un fremito stupito.

Poi il bacino di lui iniziò a muoversi lentamente. Quasi ad implorare che quel dito fosse spinto ancora più a fondo.

Poi.

La lingua di lei accarezzò la pelle rossa e gonfia. E dopo un fremito più forte la sua bocca venne invasa dal caldo dolce del succo di lui.

Lei continuò. Ancora.

Fino a quando non sentì il solletico delle gocce calde che lentamente scivolavano lungo le sue cosce.

il resto della mattina ed il pomeriggio erano stati devastati dalla telefonata di Melissa. Alessandra era diventata una zombie. Era entrata nell'ufficio postale. Aveva fatto la fila e quando era arrivato il suo turno aveva balbettato qualcosa all'impiegato accorgendosi di aver lasciato le bollette da pagare in auto.

Stessa scena dal fruttivendolo. Era riuscita a chiedere un chilo di pomodori. Poi era sparita. Immobile di fronte alla tipa che inutilmente le stava chiedendo se li volesse maturi o un po' acerbi.

Non era stata la storia di Melissa ed Emanuele. Ormai conosceva bene Melissa. Era la classica brava ragazza, timida e piena di complessi e sensi di colpa, che ogni tanto faceva qualche cazzata. Solo che le cazzate di Melissa non erano mai banali. Non era la tipa che andava a letto con un bel tipo che le aveva sorriso al bar sotto l'ufficio. No. Melissa se lo faceva, e lo faceva, lo faceva con il fratello dello sposo. Al matrimonio di sua sorella. Su un prato non particolarmente appartato della villa dove si teneva la festa. E mentre la fidanzata del tipo che stava piegato su di lei era a qualche decina di metri a cercare di prendere il mazzolino lanciato dalla sposa.

Sorrise ricordando quando Melissa l'aveva convocata per raccontarglielo. Melissa era una brava ragazza. Una casinista. Una passionale. Generosa.

Sì, vista da un occhio parziale si poteva definire una gran troia. Ma lei sapeva che era un giudizio riduttivo. Era la sua migliore amica. L'amica. Quella che avrebbe fatto di tutto per lei. E lei sapeva che avrebbe fatto di tutto per Melissa.

Adesso però come al solito Melissa era partita come un treno. Aveva visto lei in difficoltà ed aveva deciso di darle una mano. Sì, ma come? L'idea di portare Davide ad un incontro con persone dai gusti sessuali sicuramente disinibiti e di ampie vedute la terrorizzava. Aveva provato a richiamare Melissa per tutto il pomeriggio. Ma il cellulare era staccato ed al numero dell'ufficio rispondeva sempre qualcuno, con la stessa voce che aveva sentito urlare la mattina, che con fare infastidito le diceva che Melissa era in riunione.

Decise.

Decise che non aveva il coraggio di dire tutto a lui.

Decise che voleva andare a quella festa.

Decise di lasciarsi trasportare dalla corrente.

La sera dopo cena aveva detto a Davide dell'invito di Melissa a casa degli amici per la sera dopo. Aveva preparato accuratamente quello che doveva dire. E fu bravissima ad omettere qualsiasi informazione o dettaglio che potesse insospettirlo. Fu talmente brava che lui accettò con lo stesso entusiasmo con cui avrebbe accettato un invito ad una serata di preghiera in parrocchia. Però lei rimase stupita ad ascoltare quello che Davide disse appena dopo "anche io devo dirti qualcosa".

"Dimmi" fu l'unica cosa che riuscì a dire.

"Quello che è successo qualche sera fa.

E la mattina dopo.

Non è successo nulla, tranquilla.

Ma ho pensato a tutto. Ed a noi. Mi conosci.

Conosci quello che mi piace.

E la sera sei stata favolosa nelle mie mani. Più del solito.

La mattina invece. Sì, so che anche a te piace essere la mia padrona a volte. Ma così non era mai successo. Non era mai successo che il tuo schiavo dopo aver obbedito a te non avesse la meritata ricompensa. In un modo o nell'altro.

Invece stavolta nulla. Probabilmente a te è piaciuto. Ma io sono rimasto, così, impietrito, deluso.

E credo si sia notato. Solo che. Solo che dopo ci ho pensato. Ed ho capito cosa era. Una sensazione strana.

Probabilmente era dentro di me da tempo.

Coperta da tante altre.

Ed io non l'avevo mai vista. Fino ad ora.

Sono riuscito a ripulire i miei ricordi.

Ed ho riconosciuto quella sensazione.

E devo dirti che... Devo dirti che sono stato bene in fondo.

Anzi no, mi è piaciuto.

Mi è piaciuto da morire."

Alessandra si sporse verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia.

Un bacio tenero.

Il bacio adorante che si dà alla persona amata.

"Scusami, non ho finito. C'è dell'altro, continuò Davide.

Sai che non amo raccontare di certe cose.

Ma ormai stasera ho iniziato.

E credo sia giusto che tu sappia tutto.

Tutto di me e di cosa provo per te.

Vero, mi è piaciuto osservarti godere su di me.

Immobile.

Non vedo l'ora di essere sorpreso ancora.

Lo desidero.

E vorrei riprovare quelle sensazioni.

Vorrei vederti lì di fronte a me.

Sul letto.

Mentre godi.

Fra le braccia di un'altra donna.

Scusami.

Non so cosa dire.

Ma ho pensato che in fondo non ci sono e non ci devono essere segreti fra di noi.

Scusami.

Lei non rispose.

Si alzò dandogli le spalle e si diresse verso la camera.

Lui rimase seduto sul divano.

Dopo un minuto lei rientrò nel salotto.

Lo sguardo era gelido, asettico, distaccato.

E nelle mani stringeva lunghi nastri rossi.

LeiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora