Capitolo dodici

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Mi svegliai di soprassalto, è stato solo un sogno? Dio, per un attimo mi ero illusa.
È stato forse il sogno più realistico che abbia mai fatto in vita mia, riesco ancora a sentire quei maledettissimi nodi avvolgermi e stringermi lo stomaco.

Eppure sembrava tutto così semplice, chiaro, pulito.

Ogni suo tocco pareva reale, ogni sua parola sembrava sincera, ogni suo sguardo sembrava dir la verità su ciò che pensava in quel momento.

Non volevo credere di aver sognato tutto questo, cosa stava a significare?

Controllai l'orologio analogico appeso alla parete di fronte al mio letto, le 7.43.

Forse dovrei darmi una mossa, pensai.

Ogni mio pensiero fu stroncato dall'ingresso di mia madre nella mia stanza.

Mamma: Aria svegliati, farai tardi a scuola. Quante volte ancora dovrò ripeterti che la sera massimo alle 22.00 devi essere a letto? Poi ci credo che fai sempre ritardo.

Sbuffai e affondai il viso tra i cuscini.

Io: Si mamma, adesso mi alzo.

Così feci, mi alzai trascinandomi a mo' di Zombie fuori dal letto e mi avviai verso il bagno.

Bussai ma nessuno mi rispose al di là della porta, così entrai.

Mi guardai allo specchio, altro che Zombie, sembravo più un cadavere in completa via di putrefazione.

Feci una smorfia di disgusto quando pensai a quel paragone, credo di stare impazzendo. 

I capelli erano completamente scompigliati, con ciocche che sparavano un po' a destra, e un po' a sinistra.

Gli occhi erano spenti e sotto di essi spiccavano due belle occhiaie violacee.

La bocca era particolarmente rossa, e giuro di non aver messo nessun rossetto rosso o burro cacao del medesimo colore.
Il labbro inferiore era screpolato, sarà per colpa di questo caldo.

Mi sciacquai la faccia ripetutamente con sapone all'olio d'oliva e acqua fredda, sperando di poter annegare i pensieri riguardanti il sogno di sta notte.

Ancora con gli occhi chiusi cercai l'asciugamano, ma andai a sbattere il ginocchio destro contro un'armadietto aperto.
Cercai di non urlare dal dolore tappandomi la bocca, e proseguii alla ricerca dell'asciugamano perduto.

Non appena lo trovai, mi asciugai in fretta e furia il viso, per poi correre in camera a vestirmi.

Quando tolsi i pantaloni del pigiama, esaminai con cura il livido che mi ero appena causata andando a sbattere contro quell'insulso armadietto.
Era di un colore violaceo, era brutto da vedere.

Decisi di non farci molto caso e tirai fuori dall'armadio una maglietta grigia chiara a maniche corte, una felpa anch'essa grigia con la zip, un paio di collant neri e per finire un paio di pantaloncini a vita alta di jeans.

Saltai due scale alla volta e salutai i miei genitori, ma prima che potessi dire qualcosa mio padre mi fermò.

Papà: Non fai colazione?

Domandò perplesso.

Io: No papà, non ho fame e poi sono in ritardo, quindi se non vi dispiace, io andrei, buona giornata.

Detto questo uscii di casa ad una velocità supersonica, ma quando mi trovai nel bel mezzo della strada mi accorsi di non aver messo le scarpe.

Sperando che nessuno mi abbia notata, tornai a casa e raccattai le scarpe da ginnastica, mi sedetti su un gradino e me le allacciai con cura.

Una volta completata l'opera, mi misi a correre verso la fermata del pullman.

Come avrei potuto parlare ancora con Mirko, dopo il sogno che ho fatto sta notte? Come avrei potuto guardarlo ancora nello stesso modo? La cosa migliore sarebbe parlarne con Bea, visto che oggi sarebbe dovuta rientrare.

Angolo autrice: Buongiorno a tutti, probabilmente mi starete odiando per come ho fatto continuare la storia, sorpresa!!
La volta scorsa avevo pubblicato un "avviso" dove ho scritto che avrei interrotto per una settimana a causa di problemi familiari, beh il fatto è che mi dispiaceva interromperla per così tanto tempo, allora sono riuscita a trovare un po' di tempo libero malgrado tutto solo per continuarla, l'ho fatto solo per voi ahaha, amatemi! ♡
Comunque come al solito spero che il capitolo vi sia piaciuto e se volete commentate, alla prossima ❤

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