Cromosoma Y

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Michael lasciò furioso la carrozza e si fermò nell'oscurità del corridoio. Fissava il bosco che scorreva dal finestrino e quel capello che teneva ancora stretto tra le mani. Non poteva essere! I suoi gliel'avrebbero detto, non era più un bambino, ma come faceva quella ragazzina ad essersi inventata ogni cosa? Non era la prima volta che sentiva parlare zia Helene con Feltman di questo fantomatico "soggetto zero". Poteva davvero essere il suo padre biologico? Era un dubbio che non si poteva più permettere, l'avrebbe fatto impazzire. Doveva sapere.

Si diresse sicuro verso il laboratorio genetico di Feltman. I faretti del corridoio si animavano al suo passaggio, passava sicuro da un vagone all'altro imponendo la sua impronta. Sapeva fare quell'esame. Era una banalità da primo anno, non era tanto il tentativo di farlo passare per uno stupido a dargli da fare, era la possibilità che Kathy fosse sua sorella, che i suoi genitori gli avessero sempre mentito. Se il suo DNA non era dei Lorenz, allora la sua storia, il suo cognome: era tutto una bugia. Scrollò la testa e si impose di calmarsi entrando nel laboratorio. Appoggiò il capello di Susanna su un vetrino e indossò i guanti facendoli schioccare.

Quel semplice gesto gli provocò un brivido lunga la schiena: quante volte aveva fatto altrettanto da bambino con suo padre nel loro laboratorio sotto casa? Tra la sua ultima operazione al cuore e il rapimento c'era stata una fase in cui suo padre aveva passato con lui più tempo. Si era preso lunghe pause dal lavoro, erano andati regolarmente via durante i fine settimana: era stato allora che aveva capito che le sue condizioni si erano fatte davvero gravi. Suo padre rimandava sempre tutto quello che lo riguardava, ma ora sapeva di non poterlo più fare e stava cercando di recuperare. Aveva reagito respingendolo, sbuffando per i suoi continui tentativi di intromissione nella sua vita, in cui ormai non entrava da anni. Preferiva passare il tempo che gli rimaneva a divertirsi coi suoi amici o uscire con le ragazze, piuttosto che stare chiuso in un laboratorio con suo padre. I suoi però non gli avevano mai detto la verità sulle sue reali condizioni di salute in quel periodo: poteva non essere la prima volta che gli mentivano, questo doveva ammetterlo.

Procedeva lentamente, come un automa alla luce di poche lampade a neon d'emergenza. Si asciugò gli occhi e il sudore freddo sulla fronte nella manica della tuta. Gli tremavano le mani nello schiacciare i tasti touch su quello schermo freddo. Rabbrividì e si strinse nella maglia della tuta. Il suo timore più grande era che dentro di lui aveva sempre sentito istintivamente che qualcosa non funzionava tra lui e suo padre. E se fosse questa la risposta che aveva cercato per tutta la vita? Se quella ragazzina avesse ragione? Inspirò profondamente, si strappò uno dei capelli rossici che stavano ricrescendo sulla sua testa coperta dai tagli. Tolse la radice, lo infilò in alcuni milligrammi di soluzione salina e fece altrettanto con il capello di Susanna.

Il cromosoma Y ha una firma genetica, un profilo che è simile ad una impronta digitale: è come un marker irremovibile che passava da padre in figlio. In un figlio maschio il cromosoma Y è identico a quello del padre: aveva sempre pensato che la genetica avesse sbagliato qualcosa. Lui e suo padre erano troppo diversi, ma forse non era la genetica ad aver sbagliato, forse era semplicemente che suo padre non gli aveva passato quel cromosoma... e nient'altro.

Aveva sempre visto dipinto negli occhi di suo padre il senso di colpa, ogni volta che veniva ricoverato in ospedale, ogni volta che era stato male, per non parlare di quando l'avevano rapito. Aveva sempre pensato che si svergognasse di lui, di quella strana combinazione genetica che aveva dato luogo alla sua persona, ma se geneticamente lui e suo padre non si erano scambiati nulla? Quella ragazzina era stata oltremodo specifica: aveva parlato " del senso di colpa di non avergli potuto dare la vita". Sterilità dunque? E la madre di Susanna che aveva confessato di essersi rivolta ad una clinica della fertilità? Scosse la testa.

Doveva pur esserci un'altra spiegazione. Questo implicava una complicità di sua madre in quell'atto e questo particolare gli dava oltremodo fastidio. Sua madre aveva sempre fatto di tutto per lui, letteralmente, aveva rinunciato al lavoro, alla carriera, rimanendo una semplice infermiera, per potersi prendere cura di lui, per tentare in ogni modo di salvarlo. Il modo di salvarlo alla fine l'aveva trovato zia Helene, con metodi certamente riprovevoli, ma che alla fine avevano funzionato. Lui era vivo. La cosa strana era che nessuno dei suoi genitori aveva ad esempio mai avuto problemi cardiaci; invece, lui era stato operato due volte e ne portava le evidenti cicatrici.

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