Capitolo Quattro: Il gioco della sedia

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"Dimmi un posto che hai sempre sognato di visitare." Annunciò Niall, stringendosi le gambe al petto.

Erano seduti ai piedi del letto del biondo, consumando quella che doveva essere la loro cena. Non era molto, il pasto a stento dava loro le energie necessarie per poter affrontare i giochi a cui erano sottoposti ogni giorno, ma ormai avevano capito bene che quella fosse una prigionia sotto mentite spoglie. Avevano avuto l'occasione per ribellarsi, ma nulla era andato per il verso giusto. La maggioranza aveva deciso di essere cieca difronte a tali scempi, la fame di prosperità delle persone consumava ciò che restava della loro poco dignità umana.

Quando erano rientrati dal secondo gioco, la prima cosa che Harry aveva fatto era stata precipitarsi nel grande dormitorio ed assicurarsi che il suo amico stesse bene. E così era, Niall stava bene. Anche meglio di lui, sicuramente.

Il biondo gli era saltato addosso, abbracciandolo e stringendo le braccia attorno alle sue spalle in una morsa quasi dolorosa, cosa di cui il corpo martoriato dell'altro ne aveva risentito di certo.

Niall gli aveva spiegato che, dopo essersi perso nelle viottole del labirinto, aveva avuto la fortuna di proseguire il percorso insieme a quel certo Liam e che, senza di lui, sarebbe rimasto sicuramente lì dentro, e a quell'ora si sarebbe ritrovato morto stecchito indubbiamente.

Harry aveva ringraziato mentalmente quel Liam per aver collaborato insieme al suo amico, perché in quel momento non riusciva ad immaginarsi in un posto del genere senza una persona che gli ispirasse tanta fiducia.

Ma nel momento in cui pensò a quella cosa, nella sua mente balenò immediatamente l'immagine di Louis.

Il fatto era che... Nemmeno lui riusciva a capire o a spiegare cos'è che accadeva con l'altro. Continuavano a respingersi a vicenda e, tranne nelle situazioni di estremo pericolo, non si degnavano nemmeno della parola. O per lo meno, Harry arrivò anche a pensare che, dopotutto, non gli sarebbe neanche dispiaciuto così tanto provare ad avere una conversazione civile con Occhi di Ghiaccio, se solo quest'ultimo non avesse tentato così tanto di ammazzarlo ogni volta che gli puntava lo sguardo addosso. E poi, cos'era quel soprannome? Nemmeno lo conosceva, e doveva seriamente cercare di smetterla di farselo saltare in mente ad ogni buona occasione.

Il punto era che Harry era un tornado di emozioni e sensazioni a cui non si riusciva a mettere un punto per interrompere, non aveva mai provato simili trepidazioni e non sapeva se gli piacessero o lo facessero sentire estremamente vulnerabile.
Perciò, nel tentativo di sminuire la voragine nel petto e le farfalle che volavano spensierate nel suo stomaco ogni volta che, anche per sbaglio, i suoi occhi finivano sulla figura dell'altro, finiva per associare tutto ciò all'istinto di sopravvivenza, o semplicemente alla pressione psicologica al quale erano sottoposti durante quei giorni infernali.

Non era in lui, tutto ciò che accadeva non aveva senso. In una situazione ordinaria non l'avrebbe nemmeno guardato, quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio talmente profondi ed esaltanti che erano capaci di strapparti l'anima e sbattertela villanamente in faccia.

"Ci sono tanti posti che vorrei visitare, in realtà." Finalmente parlò, confidandosi.

"Dev'essercene uno in particolare." Continuò l'altro.

Harry tirò un sospiro, sommerso tra i suoi pensieri, lo sguardo rivolto verso l'alto e le sopracciglia corrugate in un'espressione concentrata. Il suo viso permise alla sua bocca di illuminarsi di un sorriso impacciato.

"Vorrei riportare mia madre nella città in cui è cresciuta, è sempre stato il suo desiderio da quando mio padre se n'è andato. Lei è di Boston, ha sposato mio padre ed è venuta a vivere in Inghilterra, ma non le è mai piaciuta così tanto."

Through The Nerve [L.S.] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora