Prologo

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L’universo appare frenetico quando si viaggia alla velocità della luce. La notte è una spiaggia in cui le galassie, modellate dalla risacca del tempo, raccolgono stelle a formare pugni di sabbia. Diventa impossibile distinguere i pianeti, accorgersi della nascita di nuovi astri, scorgere i bagliori più flebili. Si è costretti a rallentare, perlustrando ogni anfratto di nebulosa, ispezionando le più insignificanti tracce di materia alla disperata ricerca di un segnale di vita. I tempi dell’esplorazione si allungano e il procedere si fa snervante.

Jesu ed Eloì erano esausti quando trovarono la Terra, quasi duemila anni prima degli altri. Conoscevano bene il loro compito ma, contravvenendo agli accordi, non distrussero il pianeta e si fermarono invece a osservare le minuscole creature che, prive di qualunque potere, sciamavano sulla sua superficie lottando per un angolo di sopravvivenza. Il loro fascino era irresistibile. Organizzati in società rudimentali, gli esseri umani apparivano una miscela di poesia, filosofia, dolore e crudeltà. Erano talmente deboli e divisi che un singolo dio li avrebbe potuti spazzare via senza sforzo, cancellando per sempre il ricordo di quell’intollerabile eresia.

“Dobbiamo radunare le bande esterne” disse Eloì senza troppa convinzione.

“Già… dovremmo farlo…” rispose Jesu con infinita tristezza.

“Percepisco chiaramente la pietà che provi per queste creature, ma la loro morte è l’unica soluzione possibile.”

“Forse hai ragione, eppure vedo in loro una tenerezza che accresce i miei dubbi e blocca le mie intenzioni.”

“Sai cosa penso?”

“Cosa?”

“Che tu, Jesu, sei l’essere più indicato per giudicarli” chiuse Eloì fuoriuscendo improvvisamente dal cosmo e lasciando il compagno da solo.

Jesu rimase immobile, nel silenzio del vuoto, brillando nella sua ira con tale vigore che, osservato dalla superficie di quel misero pianeta, fu facilmente scambiato per una cometa. Era in trappola: da solo non poteva radunare altri dèi né poteva uscire dall’universo senza perdere per sempre la posizione esatta della Terra.

Il destino degli uomini era nelle sue mani e fu così che Jesu decise di conoscere meglio quelle creature, tanto da farsi uomo e sperimentare sulla propria pelle la potenza della vita.

Jesu nacque, crebbe, conobbe un linguaggio, l’amore per la madre, la sensazione dell’acqua che disseta e del cibo che sazia, imparò l’amicizia e provò il dolore, fino a convincersi che gli uomini potevano essere educati a costruire un mondo migliore, mai perfetto, ma comunque accettabile. Decise perciò di risparmiarli e prese a insegnare loro la fratellanza, il perdono, l’umiltà, tanto da arrivare a farsi dei nemici tra coloro che detenevano il potere in quella piccola regione di mondo.

Prima di lasciare il pianeta allontanandosi tra le stelle, mentre era inchiodato a una croce di legno, nell’agonia che precede la morte, Jesu raccolse tutto il suo fiato e gridò verso il cielo.

“Eloì, Eloì, lemà sabactàni?” che in aramaico significa: “Eloì, Eloì, perché mi hai abbandonato?”

 Ma nessuno dei presenti, come riferiscono i Vangeli, comprese a chi si stesse rivolgendo.

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