Capitolo 18

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Miurel non aveva mai visto il latte, eppure l'ammasso di nuvole che stava attraversando aveva esattamente quel colore. Un bianco denso, fermo e sterminato che, come la tela di un quadro, sembrò all'improvviso sfregiato da un solco di fuoco. Rapido come una meteora, Miurel assaporò la sensazione dei gas ionizzati attorno al suo essere, quindi rallentò in una brusca frenata a mezz'aria, sviluppando ampi vortici che si propagarono verso il suolo. Sospeso nella sua curiosa forma tentacolare diresse lo sguardo verso la crosta sottostante, costellata di crateri da impatto in cui l'ammoniaca precipitava formando piccoli laghi.

Era un pianeta freddo e morto, un inutile sasso nella profondità della notte.

Miurel ancora una volta aveva sperato che quelle nubi potessero dare un senso sua millenaria ricerca, sperato di intravedere la vita, in una qualsiasi delle sue possibili esibizioni. Invece fu subito chiaro che si trattava dell'ennesimo diversivo, dell'ennesima pagliuzza che unita alle moltissime altre riusciva a nascondere troppo bene l'ago lucente che tutti volevano scovare.

La rabbia prese velocemente il posto della delusione. Miurel si lanciò con la massima energia urtando il terreno in un boato. Monti e valli tremarono per diversi secondi, quindi un crepaccio si aprì spaccando la quiete. Athonor penetrò l'atmosfera proprio in quel momento, venendo investito dai frammenti di roccia proiettati dalla violenza dell'impatto. Lo attraversarono senza ferirlo. Solo i riflessi della sua superficie luminosa cambiarono brevemente di tonalità, dal rosso a un arancione acceso per tornare al colore originale. Athonor aveva assunto una forma regolare, quella di un grosso cilindro retto. Non era dipeso da lui, le qualità di ciascun dio vengono tradotte in forma sulla base delle leggi naturali dell'universo in cui sceglie di entrare. Come nessun uomo può cancellare i pensieri di altri uomini, allo stesso modo nessun dio può distruggere i mondi creati da altri dei, ma almeno può liberamente entrarvi, a condizione di rispettarne le leggi. Athonor lampeggiò, atterrando a poca distanza dal compagno, mentre la polvere tornava lentamente a posarsi sul terreno roccioso e l'eco della collisione rombava sempre più fioca e sempre più lontana.

"Miurel, non puoi continuare così... non serve a nulla prendersela con delle rocce..."

"Le rocce sono l'unica cosa con cui posso prendermela! Sassi, solo sassi, non ho visto altro che stupidi sassi finora..."

"Non è vero, qualche volta abbiamo trovato anche semplici forme di vita."

"Nulla di paragonabile a creature autocoscienti!"

"Magari con i nostri interventi siamo già riusciti a impedire che creature più complesse si evolvessero da quelle che abbiamo distrutto."

"Sarebbe troppo comodo cullarsi in questa illusione."

"Miurel, sei stanco. Forse è arrivato il momento che tu chieda un cambio e vada all'esterno a riposarti. Sei l'unico a non averlo mai fatto dall'inizio di quest'incubo... e tutti noi ci chiediamo come tu abbia potuto resistere fino a ora."

"Non ho bisogno di riposo, Athonor. Potrei stare qui dentro per l'eternità e non avvertirne il peso."

"Siamo tutti mossi dallo stesso tuo sentimento di pietà, ma a differenza nostra tu porgi il fianco al senso di colpa!"

"Ed è giusto che sia così. Sono io ad aver creato il Portatore di luce. Ho voluto generare un dio che avesse una fantasia eccezionale, capace di creare universi tanto belli da lasciare tutti noi estasiati. E invece cosa ho ottenuto? Un essere folle e meschino, crudele ed egoista..."

"È indubbio che sia riuscito a creare un cosmo di bellezza e originalità mai viste prima." Athonor distese il suo sguardo al di là della densa cappa di nubi che li sovrastava, lontano, verso le galassie più remote, mirando i giochi di luce delle nebulose planetarie, fino ai colori smaglianti degli ammassi globulari. Ovunque, a perdita d'occhio, la materia aveva creato strutture dai contorni complessi e dai riflessi brillanti. "Talvolta ripenso al suo ultimo discorso" continuò illuminandosi nello sforzo. "Quella volta radunò tutti noi attorno a sé e ci rivelò di aver immaginato l'universo più completo che si potesse realizzare: un cosmo in cui le creature fossero mortali, nascessero ignoranti e deboli, esposte a sofferenze e malattie, ma nei cui animi albergasse la forza per aiutarsi reciprocamente, evolversi ed elevarsi fino a raggiungere conoscenze e condizioni di vita migliori. Esseri che non avrebbero avuto nessun contatto con il proprio creatore, nessun aiuto, talvolta nessuna speranza, ma capaci di realizzare da soli la propria fortuna e la propria civiltà. Capaci di usare il dolore come una risorsa..."

Apologia dei miscredentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora