Capitolo 5 - Sabato 17 Dicembre

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Adel aveva praticamente passato l'intera giornata del venerdì dormendo. Era come se il suo organismo avesse provato a recuperare le energie psicologiche necessarie a rimettere in moto la vita. Un breve letargo che solo la madre di Alessio aveva osato disturbare occasionalmente per convincere il ragazzo a mettere qualcosa nello stomaco.

Come se ciò non bastasse, la mattina del sabato Adel si svegliò tardi. Aprì gli occhi e si rese subito conto di non trovarsi nella sua stanza. Ci mise però qualche secondo a realizzare dove fosse esattamente e una volta compiuto quel passo tutti i ricordi delle vicende trascorse precipitarono a cascata nella sua coscienza, schiacciando quel brevissimo attimo di serenità. L'accettazione della realtà fu tanto dolorosa che Adel si rammaricò di non essere morto durante la notte. L'oblio può rappresentare un agognato rifugio e moltissimi uomini nel corso della storia l'hanno invocato nelle circostanze più disparate, quasi sempre invano.

Si fece coraggio e si alzò. Raggiunse barcollando la porta e afferrò la maniglia nello stesso istante in cui Alessio la ruotò dall'esterno.

"Sei sveglio" constatò l'amico nel vederlo in piedi.

"Più o meno..." rispose Adel.

Avevano entrambi gli occhi gonfi ed entrambi lo notarono.

"Ero venuto a chiamarti. Dobbiamo prepararci per il funerale. Te la senti di venire?"

"Certo... dammi solo il tempo di fare una doccia."

I due si prepararono e scesero in cucina a fare colazione.

Franca, la madre di Alessio, era una signora sulla cinquantina, di piccola corporatura e sempre sorridente.

"Venite, vi ho preparato un po' di tè caldo."

"Grazie, signora, e scusi ancora per il disturbo che vi sto dando..." fece Adel.

"Non ci pensare neanche. Gli amici di Alessio per me sono come dei figli."

Adel non riuscì a evitare di sentirsi di troppo, come del resto non riuscì a non invidiare Alessio per la splendida famiglia che aveva. I due uscirono di casa poco dopo.

Non erano passati che pochi minuti, quando Franca sentì suonare il citofono. Sul momento pensò che i ragazzi si fossero dimenticati qualcosa, ma accostando la cornetta all'orecchio sentì una voce troppo rauca per essere quella del figlio.

"Signora Vennai?"

"Sì..."

"Buongiorno, sono il vicecommissario Pratesi, della questura di Pisa. Se gentilmente può aprire il cancello... vorrei farle alcune domande."

Gli esseri umani sono capaci di provare una grande quantità di emozioni. Il misto di stupore e preoccupazione, suscitato dall'apparire della polizia sulla porta della propria casa, è una sensazione difficilmente descrivibile. Per Franca, fino a quel momento, un simile stato d'animo non era mai stato neanche immaginabile. Con un gesto nervoso pigiò l'interruttore mentre con l'altra mano già apriva lentamente la porta. Restò immobile nell'osservare quattro uomini in divisa e altri due con una curiosa tuta bianca che percorrevano il breve viottolo di accesso. Sembravano due astronauti con la scorta.

Giunto in prossimità dell'ingresso il più anziano dei sei alzò leggermente la visiera del cappello in segno di saluto.

"Salve. Vicecommissario Giulio Pratesi."

"Cos'è successo?"

"Ancora nulla, signora. Scusi se facciamo irruzione in casa sua, ma abbiamo un'autorizzazione del giudice per una perquisizione. Non si deve preoccupare, però, al momento è una pura formalità. Un semplice controllo."

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